
I migliori libri d'arte da leggere
I titoli imperdibili per conoscere l'arte
I migliori libri di arte contemporanea: ecco i titoli imperdibili da leggere per comprendere a fondo artisti, correnti e storia.
Marinella Senatore
di Ilaria Bernardi, 304 pagg., 360 ill. a colori e in b/n, Silvana, € 39.
Arte che serve a emanciparsi, a includere, a formarsi, a diventare consapevoli di sé. Sono questi i pilastri del sistema didattico alternativo proposto da The School of Narrative Dance, la scuola nomade, gratuita e itinerante fondata nel 2012 da Marinella Senatore (Cava de’ Tirreni, 1977). In occasione dei dieci anni della SOND, esce il libro che racconta la storia e i progetti realizzati attraverso la scuola, ma anche l’intero percorso di questa artista in costante ricerca, dai primi lavori nel 2003 alle emozionanti installazioni luminose degli ultimi anni. Un saggio critico, un’intervista e una cronologia corredata da immagini introducono il lettore alla dimensione collettiva e partecipativa che caratterizza il suo lavoro, che si tratti di video o di performance, di processioni danzanti o di sculture. Per Senatore, l’artista è «attivatore di un meccanismo (l’opera) che ha come scopo quello di produrre una forza trasformatrice». Chiude il volume una bibliografia selezionata.
Jean Nouvel by Jean Nouvel: 1981-2022
di Jean Nouvel, Philip Jodidio, 784 pagg., 567 ill. a colori e in b/n, Taschen, € 150.
Nel 2010, quando era stata pubblicata da poco la seconda edizione (questa è terza) del catalogo delle opere di Jean Nouvel (Fumel, 1945), Stefano Casciani intervistò l’architetto per Domus e gli chiese, tra le altre cose, di spiegare il perché di un libro così imponente (oggi esce in un solo volume, di 29x37 cm e quasi 6 kg, ma le precedenti edizioni erano di un formato ancora più grande e in due tomi). Nouvel rispose che aveva colto la proposta di Taschen di un catalogo XXL per farne, approfittando del formato, un libro sostanzialmente fotografico, con immagini che corrispondessero «al mio modo di vedere», pochi testi e didascalie solo dove servono, per «trascrivere emozioni», non informazioni tecniche, che possono stare benissimo in appendice. Questo è Jean Nouvel by Jean Nouvel, un concentrato del lavoro e della visione del francese, archistar con una spiccata attitudine alla ribellione, che da ragazzo voleva fare il pittore e che in fondo quella vocazione non l’ha mai disattesa, perché i suoi progetti hanno da sempre una marcia in più quanto a impatto iconico. Cresciuto alla scuola di Claude Parent e Paul Virilio, di cui fu assistente dal 1967 al 1970, da allora Nouvel ha percorso con decisione la strada dell’architettura di situazione, fondata sui principi di specificità, singolarità e contestualizzazione di ogni progetto, una scelta che professa e difende a spada tratta nel Louisiana Manifesto. Scritto nel 2005 e qui riportato nelle prime pagine, resta la miglior sintesi del Nouvel pensiero. Denuncia chi progetta senz’anima, in modo «automatico» e lancia una sfida mozzafiato: che l’architettura «sia vibrante, riecheggiando perennemente l’universo che cambia». Un obiettivo concepibile solo se si ha il coraggio di «lavorare ai limiti del realizzabile – con il misterioso, il fragile, il naturale» e che diventa chiaro quando la Koncerthuset di Copenhagen (2009) emerge luminosa nel buio, quando il centro commerciale One New Change (2010), a Londra, esalta in mille riflessi la cupola di St. Paul, o quando a Doha fioriscono rose del deserto come il Museo Nazionale del Qatar (2019).
Artiste e femminismo in Italia
di Paola Ugolini, 228 pagg., 23 ill. in b/n, Marinotti, € 24.
Critica d’arte e femminista, Carla Lonzi (1931-1982) preferiva la differenza all’uguaglianza. Definiva anzi quest’ultima «il principio in base al quale l’egemone continua a condizionare il non-egemone». Facendo proprio questo pensiero, Paola Ugolini decide di proporre – è il sottotitolo del suo libro – una rilettura non egemone della storia dell’arte, «diversa da come la si può trovare narrata nei manuali scolastici», non solo declinata al femminile, ma anzi filtrata attraverso «le lenti del femminismo». Dalle pioniere Bice Lazzari e Carol Rama fino alle millennials Silvia Giambrone, Romina De Novellis e Benni Bosetto, il percorso coinvolge 23 artiste che hanno operato in Italia dalla prima metà del Novecento a oggi e che hanno espresso, nei loro lavori, aspirazioni e istanze radicali, sociali, urbane, ecologiche e di genere, estetiche e sempre politiche.
Quattro fotografi, di Daria Jorioz
120 pagg., 26 ill. in b/n e a colori, Lyasis, € 18.
Fare preferenze in certi casi è un bene, come nel caso dei Quattro fotografi che Daria Jorioz ha «insindacabilmente scelto come i “miei” prediletti», Mario De Biasi, Pepi Merisio, Gian Paolo Barbieri, André Villers. A ciascuno in questo libro riserva un capitolo-ritratto, condividendo ciò che ha potuto cogliere incontrandoli o lavorando con loro. Ricordi, aneddoti, impressioni si fondono in una trama in cui la fotografia è intimamente connessa con la vita. Così di De Biasi emerge «l’entusiasmo con cui guardava al mondo», di Merisio «la limpidezza dello sguardo», di Barbieri la capacità di «cogliere e rivelare la bellezza», di Villers «l’esercizio innato della meraviglia». Completa il volume una selezione di testi, già pubblicati tra il 2012 e il 2022, su Vittorio Sella, Gabriele Basilico, Robert Doisneau, Elliott Erwitt, Steve McCurry, Edward Burtynsky, Olivo Barbieri, Ugo Lucio Borga.
Volti nel tempo – Una storia del ritratto fotografico, di Phillip Prodger
256 pagg., 255 ill. a colori e in b/n, Einaudi, € 42.
La macchina fotografica «è come uno squalo spietato con un solo occhio vacuo», scrive Phillip Prodger. «È incredibile che un dispositivo del genere possa catturare qualcosa di bello, ineffabile e fondamentalmente umano come l’identità». Eppure lo fa o, meglio, può farlo nelle mani del fotografo, che sceglie la posizione, il formato della pellicola, la lunghezza focale dell’obiettivo e soprattutto il momento in cui scattare. A fare la differenza è «la soggettività umana», la scelta, in fondo misteriosa, di quella certa «minuscola frazione di vita». Lo storico e curatore britannico dimostra la sua intuizione attraverso un’ampia indagine sul ritratto, sulle applicazioni che può avere, dalle foto segnaletiche a quelle patinate delle riviste di moda, e sulle funzioni che ha assunto nel tempo, sociali, culturali, economiche, artistiche o private. Nel suo libro, una pioggia di esempi d’autore, dai pionieri dell’Ottocento agli innovatori di oggi.
Lucio Fontana – Catalogo ragionato delle sculture ceramiche
a cura di Luca Massimo Barbero, 818 pagg. in 2 tomi con cofanetto, 250 ill. a colori e 2.108 in b/n, Skira, € 350.
A parte un Ballerino di Charleston in ceramica modellato in Argentina nel 1926, la «vera e propria attività in questo campo», raccontava Lucio Fontana, iniziò dieci anni dopo, alla fabbrica Mazzotti di Albisola, «con una cinquantina di pezzi: alghe, farfalle, fiori, coccodrilli, aragoste, tutto un acquario pietrificato e lucente». Lì, come in seguito a Sèvres, «ho ricercato e studiato la forma», associandola rigorosamente al colore. «Le mie sculture sono state sempre policrome». E qui sta il punto: «I critici dicevano ceramica. Io dicevo scultura». Questo catalogo, esito della ricerca e del lavoro della Fondazione Fontana, presenta duemila sculture realizzate tra il 1929-30 e il 1966: maschere, guerrieri, formelle, «stranissimi animali mai esistiti», tanti concetti spaziali e tre Vie Crucis.
Scopri la scheda d'artista di Fontana.
Alighiero Boetti – Catalogo generale
Acura di Archivio Alighiero Boetti, 680 pagg. in 2 volumi, in italiano e in inglese, 2.000 ill. a colori e in b/n, Electa, € 280.
Nel 1980 c’era ancora bisogno di spiegarlo e Alighiero Boetti (1940-1994) ancora una volta lo spiegava: «Non sono un pittore. Sono un artista ed è per questa ragione che uso tecniche non pittoriche». L’idea però era pittorica, sempre. I francobolli dei lavori postali erano impiegati «in base ai loro colori» e i fili dei ricami erano «come colori o pastelli». Nell’intervista citata, un dialogo con il gallerista Kazuo Akao, Boetti chiarisce anche l’importanza del disegnare, come faceva, con entrambe le mani: «È una sorta di conversazione con me stesso in cui esploro il positivo e il negativo, l’ego e l’alter ego, l’ordine e il disordine, mettendola in scena sulla carta. È come se dietro una mano ci fosse Alighiero e dietro l’altra Boetti». L’intervista, tutta da leggere, apre la seconda parte del terzo tomo del Catalogo generale, dedicata agli anni dal 1980 al 1987. Il periodo, per Boetti, non è facile. Dopo l’invasione sovietica del 1979 non può più recarsi nell’amato Afghanistan. Le proposte per grandi mostre diminuiscono e il suo lavoro pare meno richiesto. Sono anche gli anni della morte della madre, della separazione da Anne Marie Sauzeau e dell’incidente d’auto che nel 1982 lo immobilizza per due mesi. «Per tutte queste ragioni il presente volume», scrive il suo direttore scientifico Mark Godfrey, «è caratterizzato da un’atmosfera più introspettiva». Accanto a opere che riflettono su immagini e concetti “pubblici”, come le Mappe, i Tutto o il nuovo filone delle Copertine, Boetti si dedica sempre di più a opere grafiche «dal carattere intensamente privato», come le Clessidra, cerniera e viceversa, i collage di animali, la serie Tra sé e sé, i fregi. Eseguite con tecniche molto diverse, dall’inchiostro soffiato al frottage, restano per lo più misteriose nel loro significato. Forse però, come suggerisce Godfrey, «il modo migliore per avvicinarle è smettere di cercare di interpretarle e accettarle come opere realizzate tra sé e sé, tra Alighiero e Boetti». Per noi, oggi, un invito a coltivare i pensieri, anche senza renderli per forza pubblici.