libri sull’arte da leggere assolutamente
Credits: CAM

I migliori libri d'arte da leggere

Arte contemporanea
Fotografia
I grandi cataloghi

I titoli imperdibili per conoscere l'arte

I migliori libri di arte contemporanea: ecco i titoli imperdibili da leggere per comprendere a fondo artisti, correnti e storia. 

Il nuovo Catalogo dell'Arte Moderna 59

Catalogo dell’Arte Moderna n. 59

di AA.VV., 956 pagg., 1.800 ill. a colori e in b/n, Editoriale Giorgio Mondadori, € 98.

Conosciuto anche come CAM, questo catalogo dalla lunga storia fornisce dati e informazioni su aste, quotazioni, esposizioni, biografie, tecniche. Dal 1962, con una formula collaudata che riesce a rinnovarsi di anno in anno senza però perdere la propria fisionomia, aggiorna artisti, collezionisti e appassionati sullo “stato dell’arte” in Italia. Quest’anno dà il benvenuto come consulente editoriale a Elena Pontiggia, che nella sezione dedicata ai Grandi Maestri del Novecento introduce Fortunato Depero, Achille Funi, Arturo Martini, Arturo Tosi e Adolfo Wildt, con i loro profili e i risultati d’asta dell’ultimo anno. Tra gli approfondimenti, i cinquant’anni dalla morte di Picasso, i sessanta da quella di Piero Manzoni e l’intervista al direttore del Palazzo Reale di Milano Domenico Piraina, ma anche la novità della firma genetica come certificazione dell’opera d’arte e lo speciale dedicato al Premio Arte 2023. Nella seconda sezione, oltre 900 artisti con tutte le notizie utili che li riguardano.

Qui per acquistare il CAM 59

I migliori libri di Arte contemporanea

100 luoghi del contemporaneo in Italia

di Nicolas Ballario 272 pagg., 327 ill. a colori, 24 Ore Cultura, € 65.

Musei, associazioni e fondazioni, ma anche eventi, esposizioni diffuse, singole opere d’arte: questo libro dimostra che la stratificazione culturale del nostro Paese è un alveo più che mai accogliente per gli artisti di oggi.

Il sublime astratto

a cura di Pietro Conte, 116 pagg., 4 ill. a colori e 8 in b/n, Johan&Levi, € 20.

Per Barnett Newman (1905-1970), espressionista astratto, «l’invenzione della bellezza da parte dei Greci», cioè la bellezza come ideale da perseguire, è diventata nel tempo per l’arte e l’estetica europee un’ossessione accecante. «La naturale aspirazione dell’essere umano a esprimere attraverso le arti la propria relazione con l’Assoluto ha finito per essere identificata e confusa con il dispotico imperativo della perfezione». Da parte sua, Erwin Panofsky (1892-1968), studioso di iconologia medievale e rinascimentale, europeo per nascita e formazione, vedeva nella libertà dall’oggetto dell’arte non figurativa un «mero arbitrio» autoreferenziale e un po’ barbaro. Non si accorgeva della drammatica inattualità del «dipingere un bel mondo» che percepivano gli artisti come Newman dopo Auschwitz, dopo Hiroshima, quando «ci siamo resi conto che il mondo non era bello». Il sublime, per loro, andava cercato altrove. Questa antologia propone scritti di autori che si confrontano con le due posizioni.

Julian Schnabel

a cura di Hans Werner Holzwarth, Louise Kugelbert, 572 pagg., 547 ill. a colori e in b/n, Taschen, € 75.

Buone notizie per gli ammiratori di Julian Schnabel: è uscita l’edizione pop, in formato ridotto, ma non troppo, della monumentale monografia da collezione che nel 2021 Taschen aveva pubblicato in sole 1.000 copie numerate. Le mancano l’iconico cofanetto rosa chewing gum e la firma autografa dell’artista, ma i testi, a partire da quello in apertura di Laurie Anderson, e le immagini su grandi pagine (cm 25x33) sono esattamente gli stessi. Esagerato e roboante in ogni sua espressione, che dipinga o si racconti, che disegni casa sua o diriga un film, Schnabel è un vulcano in costante attività, una forza della natura che travolge, urta o emoziona, ma che non si spiega soltanto, come insinuano i suoi detrattori, con l’esuberanza di un ego ipertrofico. I lavori di grandi dimensioni, il passaggio disinvolto da un media all’altro, la vita in pigiama e l’amore per i viaggi forse hanno più a che fare con l’urgenza di sfidare limiti e ostacoli, conformismo e ovvietà.

 

Nato nel 1951 a Brooklyn, New York, inizia la sua carriera a metà degli anni Settanta quando la pittura è ormai considerata morta. «Pensai che era un bel momento per cominciare a dipingere», racconta, e fa della pittura la sua arte preferita. Ci si trova a proprio agio, la interpreta con disinvoltura. I suoi lavori, su supporti di ogni tipo, mescolano tecniche e materiali, parole e oggetti trovati, dai famosi plate paintings, dipinti realizzati su superfici costellate da frammenti di piatti in ceramica, ai japanese paintings, con colori a olio su foto digitali, alla serie Anno Domini su carta catramata. Poi ci sono le sculture, che traspongono forme pittoriche nello spazio e nascono per lo più per stare all’aperto, i film, che dipingono ritratti di eroi non convenzionali, e le architetture, come il suo palazzo “veneziano” nel West Village, sogno realizzato o investimento immobiliare, in ogni caso grande impresa. «Voglio che la mia vita sia nel mio lavoro, schiacciata nel mio dipinto come un’auto pressata», ha detto una volta. Questo libro ripercorre il suo lavoro, la sua vita.

Marinella Senatore

di Ilaria Bernardi, 304 pagg., 360 ill. a colori e in b/n, Silvana, € 39.

Arte che serve a emanciparsi, a includere, a formarsi, a diventare consapevoli di sé. Sono questi i pilastri del sistema didattico alternativo proposto da The School of Narrative Dance, la scuola nomade, gratuita e itinerante fondata nel 2012 da Marinella Senatore (Cava de’ Tirreni, 1977). In occasione dei dieci anni della SOND, esce il libro che racconta la storia e i progetti realizzati attraverso la scuola, ma anche l’intero percorso di questa artista in costante ricerca, dai primi lavori nel 2003 alle emozionanti installazioni luminose degli ultimi anni. Un saggio critico, un’intervista e una cronologia corredata da immagini introducono il lettore alla dimensione collettiva e partecipativa che caratterizza il suo lavoro, che si tratti di video o di performance, di processioni danzanti o di sculture. Per Senatore, l’artista è «attivatore di un meccanismo (l’opera) che ha come scopo quello di produrre una forza trasformatrice». Chiude il volume una bibliografia selezionata.

Jean Nouvel by Jean Nouvel: 1981-2022

di Jean Nouvel, Philip Jodidio, 784 pagg., 567 ill. a colori e in b/n, Taschen, € 150.

Nel 2010, quando era stata pubblicata da poco la seconda edizione (questa è terza) del catalogo delle opere di Jean Nouvel (Fumel, 1945), Stefano Casciani intervistò l’architetto per Domus e gli chiese, tra le altre cose, di spiegare il perché di un libro così imponente (oggi esce in un solo volume, di 29x37 cm e quasi 6 kg, ma le precedenti edizioni erano di un formato ancora più grande e in due tomi). Nouvel rispose che aveva colto la proposta di Taschen di un catalogo XXL per farne, approfittando del formato, un libro sostanzialmente fotografico, con immagini che corrispondessero «al mio modo di vedere», pochi testi e didascalie solo dove servono, per «trascrivere emozioni», non informazioni tecniche, che possono stare benissimo in appendice. Questo è Jean Nouvel by Jean Nouvel, un concentrato del lavoro e della visione del francese, archistar con una spiccata attitudine alla ribellione, che da ragazzo voleva fare il pittore e che in fondo quella vocazione non l’ha mai disattesa, perché i suoi progetti hanno da sempre una marcia in più quanto a impatto iconico. Cresciuto alla scuola di Claude ParentPaul Virilio, di cui fu assistente dal 1967 al 1970, da allora Nouvel ha percorso con decisione la strada dell’architettura di situazione, fondata sui principi di specificità, singolarità e contestualizzazione di ogni progetto, una scelta che professa e difende a spada tratta nel Louisiana Manifesto. Scritto nel 2005 e qui riportato nelle prime pagine, resta la miglior sintesi del Nouvel pensiero. Denuncia chi progetta senz’anima, in modo «automatico» e lancia una sfida mozzafiato: che l’architettura «sia vibrante, riecheggiando perennemente l’universo che cambia». Un obiettivo concepibile solo se si ha il coraggio di «lavorare ai limiti del realizzabile – con il misterioso, il fragile, il naturale» e che diventa chiaro quando la Koncerthuset di Copenhagen (2009) emerge luminosa nel buio, quando il centro commerciale One New Change (2010), a Londra, esalta in mille riflessi la cupola di St. Paul, o quando a Doha fioriscono rose del deserto come il Museo Nazionale del Qatar (2019).

Artiste e femminismo in Italia

di Paola Ugolini, 228 pagg., 23 ill. in b/n, Marinotti, € 24.

Critica d’arte e femminista, Carla Lonzi (1931-1982) preferiva la differenza all’uguaglianza. Definiva anzi quest’ultima «il principio in base al quale l’egemone continua a condizionare il non-egemone». Facendo proprio questo pensiero, Paola Ugolini decide di proporre – è il sottotitolo del suo libro – una rilettura non egemone della storia dell’arte, «diversa da come la si può trovare narrata nei manuali scolastici», non solo declinata al femminile, ma anzi filtrata attraverso «le lenti del femminismo». Dalle pioniere Bice Lazzari e Carol Rama fino alle millennials Silvia Giambrone, Romina De Novellis e Benni Bosetto, il percorso coinvolge 23 artiste che hanno operato in Italia dalla prima metà del Novecento a oggi e che hanno espresso, nei loro lavori, aspirazioni e istanze radicali, sociali, urbane, ecologiche e di genere, estetiche e sempre politiche.

Scopri il percorso di emancipazione delle donne nell'arte. 

Arte in Sicilia dalle origini al Novecento

di Sergio Troisi, 740 pagg., 811 ill. a colori, Kalòs, € 50.

L’ultima parte del libro di Sergio Troisi sull’arte in Sicilia è dedicata al Novecento. Si apre con la stagione dell’Art nouveau di Ernesto Basile, palermitano doc, e prosegue con l’esplosione, negli anni Venti, di quel Futurismo orgogliosamente locale che ruotò attorno alle figure di Pippo Rizzo, Vittorio Corona, Rosita Lojacono e Giovanni Varvaro. Poco dopo, però, e nel Secondo dopoguerra ancora di più, diventò quasi inevitabile lasciare l’isola per partecipare a ciò che di nuovo accadeva. Da questo momento in avanti l’arte siciliana si nutre delle fughe e dei ritorni dei suoi figli, da Mimì Lazzaro a Renato Guttuso, da Piero Consagra a Carla Accardi, da Bruno Caruso a Emilio Isgrò, che sono protagonisti non tanto o non soltanto della scena siciliana, ma italiana e internazionale. Quanto al volume nel suo complesso, è una storia delle arti in Sicilia dal Paleolitico a oggi, in tredici capitoli autorevolmente compilati, ricchi di informazioni, dettagli e splendide illustrazioni.

Atlante dell’arte contemporanea nel Mediterraneo

a cura di Patrizia Mania, Roberto Pinto, 240 pagg., 50 ill. a colori e in b/n, Round Robin, € 19.

Area di scambi storici, ma anche di contemporanei e potenziali incontri, il Mediterraneo sale più spesso agli onori della cronaca per le «tante emergenze socio-politiche, identitarie, diasporiche, migratorie» che lo attraversano e lo feriscono. Di fronte alle tragedie di questa parte travagliata del mondo, c’è chi sceglie il punto di vista della paura e chi quello dell’immedesimazione. Gli artisti, in genere, fanno quasi d’istinto la seconda scelta, contribuendo, scrive Patrizia Mania, «a mettere a fuoco e a individuare pionieristicamente la necessità di ricorrere a un approccio etico». Questo Atlante, parte di un più ampio progetto nato in seno all’Università della Tuscia, raccoglie ricerche e contributi su esperienze artistiche che negli ultimi trent’anni si sono sviluppate qui o sono state ispirate da quanto vi accade, dalle fotografie di Beirut di Gabriele Basilico (1991) al Tappeto volante del collettivo Stalker (2000), a Barca Nostra di Christoph Büchel (2018-2019).

Basilicata – Un racconto d’arte contemporanea

a cura di Antonello Tolve, Silvana, 96 pagg., 70 ill. a colori e in b/n, € 24

A partire dal quadrilatero del Sistema dei Musei e dei Beni Culturali di Aliano, Castronuovo Sant’Andrea, Moliterno e Montemurro (ACAMM), il libro delinea un itinerario della creatività in Lucania, con opere di artisti locali e di molti altri che qui hanno lavorato.

Racconti dipinti sui muri

a cura di Franca Rizzi Martini, 144 pagg. 15 ill. a colori e 15 in b/n, € 17

Questa volta la serie Di arte in arte di Neos incrocia la Street art e raccoglie quindici storie di altrettanti autori ispirate ai murales più significativi di Torino, lavori collocati per lo più in zone popolari, fuori dai classici percorsi culturali.

Picasso - una biografia

Patrick O'Brian, 576 pagg., Longa- nesi, 13,90

Forte di una ventennale frequentazione di Picasso (1881- 1973) e di uno sguardo critico originale, Patrick O’Brian racconta la vita del catalano in modo avvincente e documentatissimo. Picasso – Una biografia, uscito la prima volta in Italia nel 1989, viene riproposto in occasione dei cinquant’anni dalla sua morte.

I migliori libri di fotografia

Joel Meyerowitz – A Question of Color

testi di Joel Meyerowitz, Robert Shore, 224 pagg., 200 ill. in b/n e a colori, Thames&Hudson, € 28.

Quando Joel Meyerowitz (New York, 1938) acquistò le sue prime pellicole, nel 1962, i fotografi “seri” scattavano in bianco e nero. Il colore era per i dilettanti, non per chi faceva della fotografia un’arte. Questo assioma indiscutibile, però, gli pareva almeno da verificare. Decise perciò di affrontare a modo suo la «questione del colore», con un progetto sul campo, come sarebbe poi sempre stato nel suo stile, ma del tutto privato, «un dialogo con me stesso». Per diversi anni, ogni volta che era possibile, scattava a distanza di pochi istanti la stessa foto con due fotocamere diverse, una caricata a colori, l’altra in bianco e nero e ne metteva a confronto i risultati, cercando punti forti e debolezze. Una selezione di quelle straordinarie coppie di fotografie, realizzate tra il 1963 e il 1971, si trova in questo libro.

Quattro fotografi, di Daria Jorioz

120 pagg., 26 ill. in b/n e a colori, Lyasis, € 18.

Fare preferenze in certi casi è un bene, come nel caso dei Quattro fotografi che Daria Jorioz ha «insindacabilmente scelto come i “miei” prediletti», Mario De Biasi, Pepi Merisio, Gian Paolo Barbieri, André Villers. A ciascuno in questo libro riserva un capitolo-ritratto, condividendo ciò che ha potuto cogliere incontrandoli o lavorando con loro. Ricordi, aneddoti, impressioni si fondono in una trama in cui la fotografia è intimamente connessa con la vita. Così di De Biasi emerge «l’entusiasmo con cui guardava al mondo», di Merisio «la limpidezza dello sguardo», di Barbieri la capacità di «cogliere e rivelare la bellezza», di Villers «l’esercizio innato della meraviglia». Completa il volume una selezione di testi, già pubblicati tra il 2012 e il 2022, su Vittorio Sella, Gabriele Basilico, Robert Doisneau, Elliott Erwitt, Steve McCurry, Edward Burtynsky, Olivo Barbieri, Ugo Lucio Borga.

Volti nel tempo – Una storia del ritratto fotografico, di Phillip Prodger

256 pagg., 255 ill. a colori e in b/n, Einaudi, € 42.

La macchina fotografica «è come uno squalo spietato con un solo occhio vacuo», scrive Phillip Prodger. «È incredibile che un dispositivo del genere possa catturare qualcosa di bello, ineffabile e fondamentalmente umano come l’identità». Eppure lo fa o, meglio, può farlo nelle mani del fotografo, che sceglie la posizione, il formato della pellicola, la lunghezza focale dell’obiettivo e soprattutto il momento in cui scattare. A fare la differenza è «la soggettività umana», la scelta, in fondo misteriosa, di quella certa «minuscola frazione di vita». Lo storico e curatore britannico dimostra la sua intuizione attraverso un’ampia indagine sul ritratto, sulle applicazioni che può avere, dalle foto segnaletiche a quelle patinate delle riviste di moda, e sulle funzioni che ha assunto nel tempo, sociali, culturali, economiche, artistiche o private. Nel suo libro, una pioggia di esempi d’autore, dai pionieri dell’Ottocento agli innovatori di oggi.

Ci sono anche donne nella fotografia: scoprile qui. 

Contro Barthes – Saggio visivo sull’indice

206 pagg., 27 ill. a colori, Mimesis, 20

Per riflettere sulla condizione crepuscolare della fotografia, Joan Fontcuberta analizza il pensiero di Roland Barthes, secondo cui il gesto del puntare è il principio essenziale del documento visivo. A illustrare le sue considerazioni, le foto di cronaca nera tratte dall’archivio della rivista messicana Alerta.

I grandi cataloghi d'arte

Lucio Fontana – Catalogo ragionato delle sculture ceramiche

a cura di Luca Massimo Barbero, 818 pagg. in 2 tomi con cofanetto, 250 ill. a colori e 2.108 in b/n, Skira, € 350.

A parte un Ballerino di Charleston in ceramica modellato in Argentina nel 1926, la «vera e propria attività in questo campo», raccontava Lucio Fontana, iniziò dieci anni dopo, alla fabbrica Mazzotti di Albisola, «con una cinquantina di pezzi: alghe, farfalle, fiori, coccodrilli, aragoste, tutto un acquario pietrificato e lucente». Lì, come in seguito a Sèvres, «ho ricercato e studiato la forma», associandola rigorosamente al colore. «Le mie sculture sono state sempre policrome». E qui sta il punto: «I critici dicevano ceramica. Io dicevo scultura». Questo catalogo, esito della ricerca e del lavoro della Fondazione Fontana, presenta duemila sculture realizzate tra il 1929-30 e il 1966: maschere, guerrieri, formelle, «stranissimi animali mai esistiti», tanti concetti spaziali e tre Vie Crucis.

Scopri la scheda d'artista di Fontana. 

Alighiero Boetti – Catalogo generale 

Acura di Archivio Alighiero Boetti, 680 pagg. in 2 volumi, in italiano e in inglese, 2.000 ill. a colori e in b/n, Electa, € 280.

Nel 1980 c’era ancora bisogno di spiegarlo e Alighiero Boetti (1940-1994) ancora una volta lo spiegava: «Non sono un pittore. Sono un artista ed è per questa ragione che uso tecniche non pittoriche». L’idea però era pittorica, sempre. I francobolli dei lavori postali erano impiegati «in base ai loro colori» e i fili dei ricami erano «come colori o pastelli». Nell’intervista citata, un dialogo con il gallerista Kazuo Akao, Boetti chiarisce anche l’importanza del disegnare, come faceva, con entrambe le mani: «È una sorta di conversazione con me stesso in cui esploro il positivo e il negativo, l’ego e l’alter ego, l’ordine e il disordine, mettendola in scena sulla carta. È come se dietro una mano ci fosse Alighiero e dietro l’altra Boetti». L’intervista, tutta da leggere, apre la seconda parte del terzo tomo del Catalogo generale, dedicata agli anni dal 1980 al 1987. Il periodo, per Boetti, non è facile. Dopo l’invasione sovietica del 1979 non può più recarsi nell’amato Afghanistan. Le proposte per grandi mostre diminuiscono e il suo lavoro pare meno richiesto. Sono anche gli anni della morte della madre, della separazione da Anne Marie Sauzeau e dell’incidente d’auto che nel 1982 lo immobilizza per due mesi. «Per tutte queste ragioni il presente volume», scrive il suo direttore scientifico Mark Godfrey, «è caratterizzato da un’atmosfera più introspettiva». Accanto a opere che riflettono su immagini e concetti “pubblici”, come le Mappe, i Tutto o il nuovo filone delle Copertine, Boetti si dedica sempre di più a opere grafiche «dal carattere intensamente privato», come le Clessidra, cerniera e viceversa, i collage di animali, la serie Tra sé e sé, i fregi. Eseguite con tecniche molto diverse, dall’inchiostro soffiato al frottage, restano per lo più misteriose nel loro significato. Forse però, come suggerisce Godfrey, «il modo migliore per avvicinarle è smettere di cercare di interpretarle e accettarle come opere realizzate tra sé e sé, tra Alighiero e Boetti». Per noi, oggi, un invito a coltivare i pensieri, anche senza renderli per forza pubblici.

Scopri la scheda d'artista di Alighiero Boetti.

Mario Raciti - Catalogo ragionato dell’opera pittorica, 1950-2023

A cura di Sandro Parmiggiani, 576 pagg. in italiano e in inglese, 180 ill. a colori e 2.220 in b/n, Skira, € 245.

Qual è, oggi, l’oggetto della pittura? Mario Raciti (Milano, 1934) si è posto spesso questa domanda. Nel catalogo di una mostra del 1998 scriveva: «È stato rappresentato tutto. Tranne forse quello che non si può rappresentare», eppure in pittura, «dove ogni cosa dice altro da sé, forse ci si può avvicinare all’irrapresentabile». Un’ipotesi, una dichiarazione d’intenti o la precisa vocazione del suo lavoro. Poi aggiungeva: «È stato trovato tutto. Ma sappiamo ancora cercare, dare un volto a quella verità di cui non possiamo tracciare i confini e di cui non possiamo fare a meno?». In questo catalogo ragionato, curato da Sandro Parmiggiani con la collaborazione di Iacopo Pesenti e Carlotta Ghiretti, 2.200 lavori documentano la sua ostinata ricerca dell’irrapresentabile, «a cominciare dai quadretti degli anni Sessanta», come li chiama lui, fino alle serie più recenti. «Ecco dunque i miei bianchi, i fondi vuoti, i segni che incidono vaganti, i colori che evocano il colore, i miei soprassalti timbrici, il dubbio sulle superfici», immagini fantasmatiche di quel necessario “oltre” che dà un senso alla gioia, al dolore, alle contraddizioni della vita. Lo si sfiora nelle Presenze-assenze degli anni Settanta, sembra di coglierlo nelle Mitologie degli anni Ottanta, ma in fondo resta inafferrabile e anzi i cicli successivi ribadiscono che gli interrogativi rimangono e bruciano. S’intitolano Mistero, Why, I fiori del Profondo. «Nel tempo il canto di Raciti, come la voce umana, s’imbrunisce», scrive Flaminio Gualdoni in un testo riportato nel catalogo. «Si fa più fondo e, se possibile, ancor più meditativo. Il pastello s’aggiunge all’olio, secco e turgido, e i grigi e i bianchi si fanno come internamente risonanti, non più materie ma consistenze, parole di luce». I lavori degli ultimi anni si ostinano su Una o due figure, anime sfumate che si cercano e s’intrecciano, e su una Fonte inesauribile che continua a sgorgare. «Il protagonista delle mie opere è un “fallimento significativo”. E un transito, una speranza».

Ai Weiwei: 1000 anni di gioie e dolori

di Ai Weiwei, 368 pagg., Feltrinelli, € 28.

Per Ai Weiwei (Pechino, 1957) l’arte è politica, perché «ogni individuo è politico, se vive all’interno della società». L’irriducibilità di questa convinzione e le azioni che ne conseguono gli hanno attirato l’ostilità delle autorità cinesi, culminata nel 2011 in una detenzione illegale di 81 giorni in un luogo segreto. In quei mesi di segregazione e solitudine, Ai Weiwei si è interrogato sull’origine del proprio impegno e l’ha trovata radicata nell’infanzia trascorsa in esilio e nell’esempio di suo padre Ai Qing (1910-1996). Intellettuale e poeta tra i più grandi della Cina moderna, alla fine degli anni Cinquanta fu accusato di anticomunismo ed esiliato, con la famiglia, in un luogo desolato e gelido nel deserto dei Gobi. Restò sedici anni ai lavori forzati, pulendo latrine e con il divieto di scrivere. In questo libro Ai Weiwei ripercorre la storia della sua famiglia e la propria, riflettendo su quanto abbia plasmato la sua creatività l’essere nato sotto un regime totalitario.

I migliori libri di architettura

Officina Gio Ponti

a cura di Manfredo di Robilant, Manuel Orazi, 280 pagg., 264 ill. a colori, Quodlibet, € 32.

Dalle porcellane Richard-Ginori alla Superleggera, dalla Torre Pirelli a un numero di Domus, il catalogo dei lavori di Gio Ponti «sembra fatto di tanti microcosmi, ognuno sufficiente a se stesso», ma allo stesso tempo “pontiano”. La loro cifra sta forse proprio nell’unicità di ogni progetto, nella ricerca ad hoc che Ponti ha sempre preferito alla tipizzazione di un processo. Per rappresentarne l’attività multiforme – fu architetto, pittore, docente universitario, costumista, scenografo, arredatore, disegnatore per l’industria e scrittore – Manfredo di Robilant e Manuel Orazi hanno scelto l’immagine dell’officina, dove «i materiali lavorati possono variare, ma gli strumenti e il metodo di lavoro sono comuni». Il libro raccoglie otto saggi inediti, di cui due firmati da loro, sulla scrittura, la grafica, l’architettura e il design di un autore poliedricamente fedele a se stesso.

Cina 1974

Gae Aulenti, 96 pagg., 69 ill. in b/n, Humboldt Books, € 20

Nell’autunno del 1974 Gae Aulenti viaggia da Hong Kong a Pechino, da Shanghai a Nanchino. È ancora la Cina delle biciclette, delle mille botteghe e della Grande Muraglia senza turisti, ma qualcosa sta cambiando. Cina 1974 è il suo reportage, con grandi panoramiche e dettagli rivelatori.