Palazzo Maffei - Verona - interni
Credits: Palazzo Maffei via IG

Il nuovo museo di Verona

di Licia Spagnesi

A Palazzo Maffei nasce la colleizone Carlon

Nascono ancora nuovi musei? A Verona sì, è l'eclettica collezione dell’imprenditore veronese Luigi Carlon, esposta a Palazzo Maffei: anctico e moderno in dialogo.

Il destino della collezione di Luigi Carlon (Verona, 1939) era scritto, anzi dipinto, in un quadro appeso nella sua camera da letto. Ogni sera prima di coricarsi e ogni mattina appena sveglio l’imprenditore veronese, Cavaliere del Lavoro, fondatore nel 1978 del colosso Index, azienda leader mondiale nella produzione di impermeabilizzanti, guardava la veduta di Piazza delle Erbe del Ferrarin (Carlo Ferrari, 1813-1871) dove spicca la facciata barocca di Palazzo Maffei. E sognava.

«Da tempo cercavo una sede adatta ad accogliere la collezione raccolta in oltre cinquant’anni di intense, appassionate ricerche che ormai languiva, stipata com’era nella mia casa. Quel palazzo, anche per l’importanza della posizione, era l’ideale. E, nonostante mi sembrasse un sogno impossibile, un pensierino lo facevo! Ebbene, quel quadro mi ha portato fortuna».

Nel 2020 la Casa Museo di Palazzo Maffei diventa realtà, consegnando al pubblico, dopo lo scrupoloso restauro dell’edificio secentesco, degli stucchi e degli affreschi, dello scalone elicoidale e della terrazza panoramica, una raccolta straordinaria, composta da oltre 650 opere di elevatissima qualità. Tra reperti archeologici, mobili antichi, miniature, fondi oro, ceramiche rinascimentali e maioliche settecentesche, sono inseriti capolavori di Giorgio de Chirico, René Magritte, Pablo Picasso, Alberto Burri, Lucio Fontana, Mario Schifano, Fausto Melotti, Gino De Dominicis, Eliseo Mattiacci, Mimmo Paladino, Renato Guttuso. E poi l’edizione completa dell’enciclopedia di Diderot e D’Alembert, un disegno di Mantegna, l’Amorino di Antonio Canova, la Grande onda di Hokusai, ma anche installazioni site specific di Chiara Dynys, Maurizio Nannucci, Claire Fontaine... In un progetto museografico pieno di sorprese, fatto per esaltare uno dei punti di forza della raccolta: il dialogo dinamico tra antico e moderno.

Luigi Carlon, quando e come ha cominciato a collezionare opere d’arte?

«Non avevo ancora vent’anni quan-do mio padre morì e dovetti abban-donare gli studi a Ca’ Foscari per andare a lavorare. Con i primi risparmi acquistai qualche lavoro di pittori veronesi contemporanei: artisti che per vivere facevano quadri figurativi, ma che già mi parlavano dell’Espressionismo astratto americano o delle ricerche dei francesi Arman e César. Nuovi linguaggi che non capivo fino in fondo, ma che mi incuriosivano, mi stimolavano a voler conoscere. Era un mondo provinciale, ma attento a quello che avveniva sulla scena internazionale. Grazie a quelle conversazioni iniziai ad aprirmi al nuovo. Poi, nel 1982, mi sono trasferito con la mia famiglia nel centro storico, in una dimora trecentesca vicino al Duomo, e ho sentito la necessità di arredarla con mobili e opere antiche. Così, frequentando alcuni antiquari, è nato un nuovo interesse».

L’arte è una passione di famiglia?

«Non l’ho ereditata dai miei genitori, ma l’ho condivisa con mia moglie e più tardi con le mie figlie Vanessa e Veronica. Viaggiando spesso per lavoro – la mia azienda esportava in cento Paesi – avevo l’opportunità di visitare musei, mostre, fiere. Tornavo sempre a casa con qualche acquisto. La passione del collezionista è una specie di malattia! Una malattia che mi porta anche oggi a studiare e a tenermi aggiornato: leggo le mail che mi arrivano da galleristi e antiquari, guardo su Internet le proposte delle case d’asta, leggo libri, cataloghi. Dedico all’arte almeno tre ore al giorno».

Perché ha deciso di condividere la sua collezione con il pubblico?

«I direttori di museo che mi chiedevano in prestito le opere per le loro mostre, i critici e gli studiosi che visitavano la mia collezione, tutti mi spingevano a questo passo. Ma volevo trovare la giusta collocazione. Mi sono deciso quando si è presentata l’occasione di acquistare da Assicurazioni Generali Palazzo Maffei».

Palazzo Maffei - Verona - la collezione
Palazzo Maffei via IG
Palazzo Maffei - Verona - la collezione
Quanto tempo c’è voluto per apri- re il museo?

«Abbiamo ultimato i lavori in un anno e mezzo, coinvolgendo lo studio di architettura Baldessari e Baldessari e Gabriella Belli (già membro della Giuria del Premio Cairo), con cui c’è stata fin da subito una grande intesa: il percorso che ha ideato ripropone la situazione di casa mia, dove antico e contemporaneo vanno a braccetto: un mobile antico importante si alleggerisce con la presenza di un’opera moderna e trovo che il confronto tra preziosi fondi oro trecenteschi e un Concetto spaziale di Fontana sia stimolante. Gabriella Belli ha organizzato le sale per nuclei tematici: la guerra, le metamorfosi della natura, il ritratto femminile, lo spazio... temi con cui si sono confrontati artisti di ogni epoca. Mi pare che il racconto della storia dell’arte in questo modo non sia noioso e i visitatori non si stanchino. Perfino i più giovani si sentono coinvolti».

Quale artista l’ha incuriosita per primo?

«Il primo acquisto importante è stato Il saluto dell’amico lontano, un dipinto del 1916 di De Chirico. Inoltre, il museo ospita un nucleo significativo di opere di artisti veronesi, tra cui Giolfino, Cignaroli, Brusasorci, acquistate per un sentimento di riconoscenza e di appartenenza alla città».

L’opera a cui è più legato?

«È un Magritte, La fenêtre ouverte del 1966. Quando il proprietario di Reggio Emilia ha deciso di venderlo, c’erano diverse persone interessate. Allora sono partito la mattina col buio, nella nebbia, per arrivare prima degli altri. E l’ho convinto. Fuori, ho trovato cinque o sei collezionisti in coda! Salgo in auto e ricevo la telefonata della mia segretaria, allarmata per un incendio scoppiato vicino alla fabbrica. Mi son dovuto precipitare subito a Verona. La vita del collezionista è proprio dura!».

Quando si acquista un’opera è ne- cessario avere più intuito o essere informati sugli artisti e sul mercato?

«L’opera deve anzitutto piacere, ma poi bisogna documentarsi. Un acquisto non supportato dalla stu- dio, dalla conoscenza del mercato e del pedigree dell’opera è pericoloso. Con i giovani si può seguire l’istinto. Compro spesso opere di artisti appe- na usciti dalle accademie e mi tengo aggiornato sui nuovi linguaggi. Ad esempio, mi ha colpito il lavoro rea- lizzato con l’IA dal turco-americano Refik Anadol per l’ingresso del Mo- ma. E poi sono curioso di vedere in Biennale il lavoro di Claire Fontaine, che di recente ha realizzato per Pa- lazzo Maffei un’installazione site specific. E il progetto di Bartolini per il Padiglione Italia: non è un artista della mia raccolta, ma, chissà...».

Questo testo è tratto dal n. 609 di Arte. La rivista di arte, cultura e informazione è acquistabile in edicola o sul sito di Cairo Editore.

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