L'ingresso alla Biennale di Venezia 2024
Credits: Milicuriartadvisory via IG

Biennale di Venezia 2024

di Eugenio Viola

Stranieri ovunque: cosa significa?

Emigrazione e decolonizzazione sono i temi della rassegna curata da Adriano Pedrosa nel Padiglione Centrale ai Giardini e all’Arsenale.

Stranieri ovunque – Foreigners everywhere è il titolo evocativo scelto per la 60a Esposizione internazionale d’arte (aperta dal 20 aprile al 24 novembre) dal brasiliano Adriano Pedrosa, direttore artistico del Museu de arte de São Paulo – Masp, nonché primo curatore latinoamericano nella storia della Biennale di Venezia.

Stranieri ovunque è uno statement preso in prestito da un’omonima serie di lavori del collettivo franco-italiano Claire Fontaine: scritte al neon in diversi colori che riportano le parole “Stranieri ovunque” tradotte in 53 lingue, tra cui diversi idiomi indigeni o già estinti, e che sarà presentata in Biennale come un’imponente installazione ambientale nei cantieri navali delle Gaggiandre. Quest’espressione, spiega Pedrosa,

«ha più di un significato. Innanzitutto, vuole intendere che ovunque si vada e ovunque ci si trovi si incontreranno sempre degli stranieri: sono/siamo dappertutto. In secondo luogo, che a prescindere dalla propria ubicazione, nel profondo si è sempre veramente stranieri».

Il titolo assume un significato ulteriore nel contesto di Venezia, città in cui, per ragioni storiche e culturali,

«gli stranieri sono ovunque. E, soprattutto, oggi assume un significato cruciale in Europa, nel Mediterraneo e nel mondo, dal momento che nel 2022 il numero di migranti forzati ha toccato l’apice e si presume che nel 2023 sia aumentato ulteriormente»,

rileva ancora Pedrosa.
Il titolo si presta anche a raccontare la metafora esistenziale dell’artista che ha sempre viaggiato, spostandosi nomadicamente attraverso città, Paesi e continenti. Un fenomeno che a partire dalla fine del XX secolo si è amplificato in maniera esponenziale con gli effetti della globalizzazione. La rassegna si concentra su

«artisti che sono essi stessi stranieri, immigrati, espatriati, diasporici, émigrés, esiliati e rifugiati, in particolare su coloro che si sono spostati tra il Sud e il Nord del mondo».

foreigners everywhere l'installazione che da il nome alla 60° Biennale di Venezia
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foreigners everywhere l'installazione che da il nome alla 60° Biennale di Venezia
Biennale di Venezia 2024: le sezioni

Si articola, in due parti distinte: un Nucleo contemporaneo allestito negli spazi delle Corderie all’Arsenale e un Nucleo storico al Padiglione Centrale ai Giardini, presentando un totale di 332 tra artisti e collettivi.

Biennale: nucleo contemporaneo

Protagonisti del primo saranno artisti queer, che si muovono all’interno di diverse sessualità e generi, anch’essi diversamente stranieri, tra questi Erica Rutherford, Isaac Chong Wai, Elyla, Violeta Quispe, Louis Fratino, Dean Sameshima, Liz Collins, Evelyn Taocheng Wang, La Chola Poblete, Ahmed Umar. Outsider come Madge Gill, Anna Zemánková, Aloïse, che si trovano ai margini del mondo dell’arte, proprio come gli artisti autodidatti o folk e popular.

Artisti indigeni, le cui opere accoglieranno il pubblico nel Padiglione Centrale. Tra questi, il collettivo brasiliano Mahku e il collettivo Maataho di Aotearoa, in Nuova Zelanda. Ampio spazio in mostra sarà dedicato agli artisti del Global South – Dana Awartani, Yinka Shonibare CBE RA, Etel Adnan, Lorna Selim; molti dall’America Latina, tra questi i colombiani Miguel Ángel Rojas, Iván Argote, Abel Rodríguez, Daniel Otero Torres, Olga de Amaral; la venezuelana Sol Calero; i peruviani Violeta Quispe, Rember Yahuarcani e Santiago Yahuarcani; i messicani Teresa Margolles, Ana Segovia, Eduardo Terrazas e Frieda Toranzo Jaeger; gli argentini Mariana Telleria e Claudia Alarcón & Silät; i brasiliani Dalton Paula e Manauara Clandestina; il boliviano River Claure.

La Biennale: l'opera del collettivo brasiliano Mahku
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La Biennale: l'opera del collettivo brasiliano Mahku

Biennale: Nucleo Storico

Il Nucleo Storico si articola in tre sezioni, rispettivamente dedicate ai ritratti, alle rappresentazioni della figura umana e alle astrazioni ed è composto da opere del XX secolo provenienti da America Latina, Africa, Asia e dal mondo arabo, riunite «a costituire una sorta di saggio, una bozza, un ipotetico esperimento curatoriale volto a mettere in discussione i confini e le definizioni del Modernismo», dichiara Pedrosa. Per questo, la selezione delle opere di questa sezione si concentra su come la figura umana è stata esplorata dagli artisti del Global South e su come questi stessi artisti hanno sviluppato una tipologia di astrazione che si distacca dalla tradizione costruttivista europea.

Una sezione speciale è dedicata alla diaspora artistica italiana nel XX secolo, che spesso ha svolto un ruolo significativo nello sviluppo del Modernismo al di fuori dell’Italia, mentre è quasi o completamente sconosciuta in patria. In questa sede saranno esposte le opere di 40 artisti italiani di prima o seconda generazione, collocate negli espositori a cavalletto in vetro e cemento di Lina Bo Bardi (a sua volta italiana trasferitasi in Brasile, vincitrice del Leone d’Oro speciale alla memoria della Biennale Architettura 2021). Molti di questi artisti emigrati proprio in America Latina, come Maria Bonomi (1935), Victor Brecheret (1894-1955) e Waldemar Cordeiro (1925-1973) in Brasile; Elda Cerrato (1930-2023), Victor Juan Cúnsolo (1898-1937) e Clorindo Testa (1923-2013) in Argentina; Umberto Giangrandi (1943) in Colombia; Luigi Domenico Gismondi (1872-1946) in Perù; Linda Kohen (1924) in Uruguay; Paolo Gasparini (1934) in Venezuela; Tina Modotti (1896-1942) in Messico.

Le altre presenze italiane, nelle varie sezioni della mostra, sono principalmente storicizzate: Domenico Gnoli (1933-1970), Costantino Nivola (1911- 1988), Filippo de Pisis (1896-1956), Aligi Sassu (1912-2000), Gino Severini (1883-1966), Gianni Bertini (1922- 2010), Bona Tibertelli de Pisis-Pieyre de Mandiargues (1926-2000), con le sole eccezioni di Simone Forti (1935) e delle più giovani Giulia Andreani (1985) e Alessandra Ferrini (1984). Un’altra artista italiana appartenente alla diaspora, Anna Maria Maiolino (Scalea 1942, vive a San Paolo), è uno dei due Leoni d’Oro alla carriera insieme a Nil Yalter (Cairo 1938, vive a Parigi) di questa Biennale che promette di essere una celebrazione dello straniero, del lontano, dell’outsider, del queer e dell’indigeno.

Il racconto di Luca Cerizza, responsabile del Padiglione Italia.

Questo approfondimento è tratto dal n. 608 di Arte. La rivista di arte, cultura e informazione è acquistabile in edicola o sul sito di Cairo Editore.

Cover Arte Aprile 2024
Cairo Editore
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