Una delle sale espositive di Fondazione Prada
Credits: Arte

Domenico Gnoli in Fondazione Prada a Milano

di Eugenio Viola

La riscoperta di un artista raffinato ed enigmatico

La grande mostra di Domenico Gnoli (Roma, 1933 – New York, 1970) negli spazi milanesi della Fondazione Prada raccoglie un corpus di oltre cento opere, realizzate tra il 1949 e il 1969, ed altrettanti disegni, presentati con una serie di materiali documentari e biografici mai esposti prima. Organizzata a partire da un progetto originariamente concepito da Germano Celant (1940-2020), è stata realizzata in collaborazione con gli archivi dell’artista di Roma e Maiorca, per celebrare i 50 anni dalla  sua prematura scomparsa.

La rivincita del quotidiano

È questa la prima retrospettiva mai realizzata su Gnoli, artista tra i più interessanti, e spesso sottovalutato, del secolo scorso. E si inserisce in una sequenza di mostre che la Fondazione Prada ha dedicato a figure eccentriche, difficilmente assimilabili alle principali correnti della seconda metà del Novecento, come Edward Kienholz, Leon Golub o William Copley. Obiettivo di questa importante ricognizione espositiva è proporre una riscrittura critica dell’opera di Domenico Gnoli, per restituirla a una dimensione finalmente unitaria, interpretando l’originalità della sua ricerca in rapporto dialettico con la scena artistica italiana e internazionale del suo tempo. 

Famiglia d'arte

Nipote di Domenico e figlio di Umberto Gnoli, entrambi critici e storici dell’arte, Domenico Gnoli cresce a Roma in un ambiente colto e raffinato, alternando il lavoro di artista a quello di scenografo, disegnatore di costumi e illustratore. Sono proprio le sue  scenografie e i costumi realizzati per la commedia As you like it di William Shakespeare, rappresentata nel 1955 all’Old Vic di Londra, che gli danno notorietà internazionale.

Dal 1959, l’artista vive tra Roma e New York, per poi stabilirsi, dal 1963, nell’isola di Maiorca. La svolta avviene nel 1964, l’anno della consacrazione della Pop art in Europa, per il tramite della Biennale di Venezia: Gnoli presenta il suo lavoro in una mostra alla Galerie André Schoeller di Parigi, cui seguono le personali al Palais des Beaux-Arts di Bruxelles e al Kestner Gesellschaft di Hannover, nel 1968, anno della definitiva affermazione internazionale, che vede l’artista invitato a Documenta IV a Kassel.

Veduta della mostra “Domenico Gnoli”, Fondazione Prada, Milano
Courtesy: Fondazione Prada, foto di Roberto Marossi
Da sinistra a destra: Branche de cactus, 1967; Vasca da bagno, Bagnarola , 1966
Dettagli enfatizzati

"Ho sempre lavorato come adesso, ma non lo si vedeva, perché era il momento dell’astrazione. Solo ora, grazie alla Pop art, la mia pittura è diventata comprensibile. Mi servo sempre di elementi dati e semplici, non voglio aggiungere o sottrarre nulla. Non ho neppure mai avuto voglia di deformare: io isolo e rappresento"

scrive così l’artista in una lettera, cui consegna un’affermazione che suona come una dichiarazione di poetica. La sua è infatti una pittura del dettaglio enfatizzato, caratterizzata da un rigoroso taglio fotografico e da una pittura precisa e materica che esalta le superfici, i colori e i materiali degli oggetti che ritrae: scarpe feticcio, bottoni, capigliature dalla scriminatura perfetta, busti, cravatte ma anche letti, poltrone e tavoli. Gli elementi prelevati dal quotidiano, come anche i particolari del corpo umano, sono dipinti con iperrealismo e restituiti amplificati, come attraverso una lente d’ingrandimento che li fa apparire quasi astratti. Domenico Gnoli mette "sullo stesso piano tutte le cose, naturali e artificiali, esprimendo una volontà egualitaria: la rivincita degli elementi insignificanti e squalificati dalla classifica dei valori: il basso e il secondario, l’accessorio e il trascurabile", ha osservato Germano Celant.

Malinconico spiazzamento

L’apparente banalità che traspare dalla superficie degli oggetti, ridotti alla loro mera funzione estetica, cela in realtà, a un’analisi più approfondita, un lato enigmatico e riflessivo, legato a un contesto che non è quasi mai presente ma lo si immagina. È implicito. Per questo, gli elementi nelle sue opere non ci appaiono mai come astratti still-life, poiché si intuisce sempre un corpo sottostante o il passaggio di una vita ad animarli. Sono oggetti o dettagli di indumenti  che rimandano a persone, sempre però escluse dai suoi lavori, tranne in pochissimi casi.

Veduta della mostra “Domenico Gnoli”, Fondazione Prada, Milano
Courtesy: Fondazione Prada, foto di Roberto Marossi
Da sinistra a destra: Braid, 1969; Curly Red Hair, 1969: Curl, 1969

L’isolamento degli oggetti e il silenzio quasi metafisico in cui sono immersi generano un senso di malinconico ed enigmatico spiazzamento che ce li fa percepire nella loro natura quasi intima, ed è questo che caratterizza l’essenza della ricerca pittorica di Domenico Gnoli. Seppure la sua pittura incroci i percorsi dell’Iperrealismo, della Pop art e del Surrealismo, dialogando con i grandi artisti internazionali a lui contemporanei, tra cui Bacon, Balthus, Dalì, Magritte, Shahn e Sutherland, la sua ricerca si confronta anche con una tradizione interna alle ragioni della pittura italiana: da Masaccio e Piero della Francesca a De Chirico, Carrà, Severini e Campigli. Tuttavia, l’opera di Gnoli rifugge facili classificazioni e semplici accostamenti stilistici: merito di questa mostra è quello di restituire l’autonomia, coerente e solitaria, alla ricerca di quest’artista, animata da uno stile unico e immediatamente riconoscibile.

Serie tematiche

Il progetto allestitivo, firmato dallo Studio 2x4 di New York, divide la produzione dell’artista tra i due livelli della Fondazione Prada: al piano terra è presentata la sua ricerca pittorica, e il percorso è costruito attraverso nuclei tematici che esaltano le matrici generative dell’opera di Domenico Gnoli, il suo modus operandi, legato allo studio delle possibilità espressive insite nell’analisi dei singoli oggetti che riproduce quasi in serie, con poche varianti cromatiche, di prospettiva o di scala. 

Al secondo piano, la produzione da illustratore, scenografo e costumista, lontana da quella dell’artista, poiché riflette un universo multicolore, pullulante di gente e ricco di dettagli. Una produzione quasi antitetica ma complementare per contribuire a comprendere, nella sua totalità, la parabola tanto breve quanto intensa di questo artista enigmatico e troppo a lungo, ingiustamente, guardato con degnazione.

Veduta della mostra “Domenico Gnoli”, Fondazione Prada, Milano
Courtesy: Fondazione Prada, foto di Roberto Marossi
In primo piano, da sinistra a destra: Robe verte, 1967; Fermeture éclair (Zipper), 1967; Finta pelliccia, 1965; Lady’s Feet, 1969; Inside of Lady’s shoe, 1969; Lady’s Shoe, 1968

Questo approfondimento è tratto dal n. 580 di Arte. La rivista di arte, cultura e informazione è acquistabile in edicola o qui.