Pino Pascali in mostra alla Fondazione Prada di Milano
Credits: Roberto Marossia via Fondazione Prada su IG

Pino Pascali in Fondazione Prada

A Milano la mostra imperdibile

Alla Fondazione Prada a Milano la prima grande retrospettiva sullo scultore pugliese, il primo dei postmoderni italiani. Una mostra da non perdere che racconta la vita e le opere di Pino Pascali mettendo in mostra anche il ruolo del visitatore come parte delle installazioni, creando un'esperienza immersiva negli affascinanti spazi di una delle fondazioni d'arte milanesi più interessanti.

La scultura di Pino Pascali (Bari, 1935 − Roma, 1968) si potrebbe sintetizzare nei versi di una filastrocca da lui trascritta in dialetto barese su un taccuino di appunti:

“iei s’accome nu srpent / ieind all’an cangc pell...” ovvero “io son come un serpente / ogni anno cambio pelle”.

Tra il 1964 e il 1968 Pascali realizzò poco più di 120 opere, divise in almeno sette differenti serie, praticamente due cicli ogni anno, cambiando repentinamente materiale, forme, tecniche, iconografie, influenze (dalla Metafisica alla Pop art, dal Minimalismo all’Arte povera, dal Surrealismo al New dada), quasi ogni ciclo appartenesse a un artista diverso. Con l’amico Michelangelo Pistoletto, che lo aveva introdotto a Gian Enzo Sperone, nella cui galleria torinese nel gennaio del 1966 presentò la dirompente mostra delle Armi, rifiutate dal suo gallerista romano Plinio de Martiis, amava discorrere del concetto di identità, della necessità di non ripetersi, di non farsi mai trovare nello stesso posto: «L’unico limite, in questa specie di reazione a catena, è la morte». Che lo colse dopo undici giorni di coma, in seguito a un incidente stradale, investito a Roma alla guida della sua motocicletta, l’11 settembre del 1968, a soli 33 anni.

Pino Pascali in mostra alla Fondazione Prada di Milano
Roberto Marossia via Fondazione Prada su IG
Pino Pascali in mostra alla Fondazione Prada di Milano
L'artista e lo spettatore come parte delle opere di Pino Pascali

Ancora oggi la sua opera sembra possedere molte anime e un solo spirito, da cui la seriosa rigidità e la boriosa staticità della scultura sembrano essere state esorcizzate. Se non fu, come si vuol far talvolta credere, un performer (una sola volta dal vivo, emulando gli spettacoli rituali degli amati Living Theatre e poi nel video SKMP2 di Luca Maria Patella), le sue mostre allestite in vita (l’ultima fu la sala della Biennale di Venezia, montata insieme ad Eliseo Mattiacci, poi chiusa per le contestazioni studentesche) erano azioni congelate, a loro modo “happening” come osservò Maurizio Calvesi o “ingombri totali”, termine con cui definì in catalogo le finte sculture di tela bianca esposte all’Attico di Roma nella doppia personale del 1966. Le foto e le gigantografie di Mario Mulas, Claudio Abate e Andrea Taverna rendono bene l’idea di una performatività mascherata nei travestimenti utilizzati da Pascali come soldato o uomo primitivo sopra o davanti le proprie opere o occupando lo spazio con vere e proprie sculture ambientali. L’assenza fisica di Pascali in seguito alla sua scomparsa fu avvertita da tutti i critici che gli erano stati vicini come una vera e propria perdita sia per la storia dell’arte che per la sua stessa vicenda artistica. Potremmo riassumere tale sentire con le parole di Vittorio Brandi Rubiu, il critico/amico che gli fu più congeniale e che fu il primo a scrivere nel 1969 una monografia, pubblicata nel 1976 dall’editore De Luca, che rimane ancora oggi un toccante omaggio al più esuberante artista delle cosiddette neoavanguardie italiane o forse, più semplicemente, al primo scultore postmoderno italiano, che seppe stare alla pari con i grandi colleghi statunitensi o europei della sua epoca: con la morte di Pascali gli allestimenti delle sue opere rischiavano di rimanere senza vita e “abbandonati a se stessi”.

 

Pino Pascali in mostra alla Fondazione Prada di Milano
Roberto Marossia via Fondazione Prada su IG
Pino Pascali in mostra alla Fondazione Prada di Milano
Pino Pascali in Fondazione Prada: gli allestimenti della mostra

La mostra che gli dedica la Fondazione Prada fino al 23 settembre è la prima che prova a far rivivere quella presenza (o vuoto), tenendo conto della complessità e dell’integrità degli “ingombri totali” pensati dall’artista, dal momento che concepiva le singole sculture come elementi di un ciclo omogeneo, le quali avrebbero dovuto occupare non solo un unico spazio fisico ma dialogare tra di loro, coinvolgendo il pubblico in un gioco delle parti per cui lo spettatore diventava attore e l’allestimento spettacolo. Doveroso a proposito ricordare il suo debito formativo con lo spazio scenico sacro del teatro medievale e barocco, o per quello più innovativo di Edward Gordon Craig o André Antoine. Di qui la necessità, non superflua né arbitraria, di ricostruire, nei limiti di ciò che è stato possibile avere in prestito, gli allestimenti ideati da Pascali (ovviamente non tutti, come ad esempio il Mare con fulmine, inamovibile dal museo di Osaka), per ritrovare il senso di quella magia, di quelle favole per adulti, di quei giochi che alternavano icone del sesso a monumenti antichi, cannoni a ponti di liane, cubi di terra a bachi da setola (di cui i cinque, con bozzolo, dalla Fondazione Museo Pascali di Polignano a Mare, senza dubbio la versione più dirompente), dinosauri a ragni di peluche o distese d’acqua pavimentali.

Pino Pascali in mostra alla Fondazione Prada di Milano
Roberto Marossia via Fondazione Prada su IG
Pino Pascali in mostra alla Fondazione Prada di Milano
L'eredità artistica di Pino Pascali

Certo Pascali fu una meteora, ma come aveva osservato a ragione Rubiu, artisti come lui «nascono per anticipare il senso dell’arte che, cominciandosi a fare oggi, si continuerà a fare domani» e infatti la sua coda brilla ancora come se non si fosse mai spenta. Unanime fu il tributo datogli al tempo dalla critica (post mortem ottenne il primo premio per la scultura dell’edizione della Biennale di Venezia del 1968): se ne occuparono tutti i più autorevoli (da Vivaldi a Fagiolo, da Argana Calvesi, da Brandi a Lonzi, da Carandente a Boatto, da Bonito Oliva ad Arbasino) e il suo inserimento nel movimento dell’Arte povera di Germano Celant fin dalle prime mostre lo conferma ancora oggi artista imprescindibile per capire gli anni Sessanta, ma anche per comprendere come tanta arte contemporanea provenga dalla sua dirompente concezione dello spazio, dalle metamorfosi stilistiche, dall’uso di materiali non consueti prelevati dal mondo del consumo, cui nella mostra milanese viene dedicata particolare attenzione (uno degli ultimi suoi cicli era fatto di pagliette di ferro, le celebri Brillo per stoviglie che Andy Warhol aveva immortalato nei loro imballaggi serigrafati). La tragica morte gli negò la possibilità di approdare a New York con la personale che il gallerista greco Alexander Jolas aveva in programma, dopo quelle nelle sedi di Milano e Parigi. E chissà, la sua vicenda avrebbe forse preso un’altra piega internazionale, anche se oggi metà delle sue opere sono conservate in musei non solo italiani, ma anche stranieri (tra cui il Moma di New York, la Tate Modern di Londra, il Centre Pompidou di Parigi e il Mumok di Vienna).

Pino Pascali in mostra alla Fondazione Prada di Milano
Roberto Marossia via Fondazione Prada su IG
Pino Pascali in mostra alla Fondazione Prada di Milano
Perché vedere la mostra di Pino Pascali alla Fondazione Prada a Milano

La mostra milanese, progettata dal curatore britannico Mark Godfrey, per la prima volta ne affronta l’opera in modo esaustivo (l’unica personale di Pascali in uno spazio pubblico in Inghilterra è stata curata da Martin Holman al Camden Art centre di Londra nel 2011): un’opportunità dunque per vederlo con occhi innocenti, di chi non ne ha subìto il mito e la fascinazione tipicamente italiana e soprattutto mediterranea, di quel “Sud del Sud dei Santi” messo in scena da un conterraneo di Pascali, il regista teatrale salentino Carmelo Bene. Una sezione, dedicata alla presenza di Pascali in celebri mostre come Fuoco, immagine, acqua, terra all’Attico nel 1967, la Biennale di Parigi del 1967 e Arte povera alla Galleria De’ Foscherari del 1968, con opere di Gilardi, Mattiacci, Kounellis, Boetti, Pistoletto, Ceroli, che erano con lui e che lo frequentarono, permette di farlo rivivere in installazioni storiche (seppur parziali), che stimolano ancora oggi idee e modi di ripensare la scultura contemporanea. O quel che resta di essa.

Pino Pascali in mostra alla Fondazione Prada di Milano
Roberto Marossia via Fondazione Prada su IG
Pino Pascali in mostra alla Fondazione Prada di Milano

Questo approfondimento è tratto dal n. 608 di Arte. La rivista di arte, cultura e informazione è acquistabile in edicola o sul sito di Cairo Editore.

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