La Venere degli stracci di Michelangelo Pistoletto, esempio di Arte Povera
Credits: Cairo Editore

L'Arte Povera

di Daniela Vasta

La risposta italiana ai movimenti artistici americani

Un movimento che ha segnato una netta distinzione nel panorama artistico italiano e non solo: Arte Povera si è contrapposta alla Pop Art e all'arte consumistica americana andando a riprendere materiali umili, tecniche del passato e ispirazioni di ambito mediterrano. Gli artisti che ne hanno fatto parte sono stati in grado di mantenre uno stile individuale senza omologarsi, creando però un filone condiviso.

Alighiero Boetti, Manifesto
Alighiero Boetti, Manifesto
L'anniversario di Arte Povera

Ricorre nel 2017 il cinquantesimo compleanno di Arte Povera, movimento artistico italiano che ha avuto un’ampia eco internazionale e che, anche se per un breve periodo, ha riunito in un’esperienza poetica ed estetica comune i percorsi personali di singoli artisti: Anselmo, Boetti, Calzolari, Fabro, Kounellis, Mario e Marisa Merz, Paolini, Pascali, Penone, Pistoletto, Prini, Zorio (altre personalità sono state più occasionali). La legittimità di individuare questo anniversario risiede nella particolarità del 1967, anno in cui alcuni fra gli artisti citati si strutturano in un gruppo riconoscibile – presentandosi appunto sotto la denominazione di “Arte Povera” – e viene pubblicato quello che può a buon diritto essere considerato il “manifesto” del movimento: l’articolo Appunti per una guerriglia firmato da Germano Celant, indiscusso iniziatore e animatore del gruppo.

Giovanni Anselmo, Lattuga Poverista
Cairo Editore
Giovanni Anselmo, Lattuga Poverista
Struttura e influenze di Arte Povera

Quel testo – certo lessicalmente contrassgnato da alcune parole d’ordine evocative della cultura giovanile e rivoluzionaria dell’epoca: sistema, resistenza, guerriglia, sfruttamento... – definiva le coordinate di una battaglia culturale che intendeva contestare innanzitutto il ruolo mortificante dell’artista, costretto, alla stregua di un giullare di corte, a una produzione seriale, per palati colti, asservita al mercato. Citando la posizione libertaria e anti-sistemica di Duchamp, si indicava l’urgenza di una scelta: o integrarsi al sistema artistico, abbracciando uno dei linguaggi codificati e accettati dal mercato, o intraprendere la strada della rivoluzione, anzi, per essere più precisi, della “guerriglia”, una modalità di contestazione meno eclatante e su piccoli fronti ma tuttavia efficace e capace di colpire a sorpresa.

 

Anche per distinguersi dai vari -ismi che popolavano il mercato artistico, Arte Povera sin dagli esordi si presenta come un movimento non strutturato, in cui le varie personalità coabitano senza omologarsi, accomunate non da uno stile bensì da un’analoga visione della situazione culturale. Questo aspetto è fondamentale per comprendere la variegata fenomenologia linguistica che caratterizza gli artisti, eterogeneità dovuta anche alle molteplici influenze che Arte Povera assorbe: dall’Arte concettuale al Minimalismo alla Land Art, senza dimenticare un forte ascendente dell’Informale gestuale e materico, che in Italia significava innanzitutto il magistero di Fontana e Burri; sul rapporto nuovo e diretto con la materia non era possibile eludere la lezione di Manzoni, mentre dal Nouveau Réalisme francese arrivavano esempi di utilizzo artistico dei materiali industriali, variamente accumulati, compressi, manipolati; infine i nascenti approcci dell’arte cinetica e programmata introducevano anche in Italia il connubio fra arte e scienza e l’idea dell’opera come organismo in divenire.

Arte Povera come reazione all'arte americana

Ma se da un lato Arte Povera è inconcepibile senza fare riferimento al panorama artistico internazionale, dall’altro essa può essere letta come una reazione alla penetrazione delle proposte artistiche che arrivavano dall’estero – e segnatamente dagli Stati Uniti (Espressionismo astratto, Pop e Minimal Art) – e che da taluni venivano percepiti come un’inesorabile colonizzazione culturale. Scatta la necessità di tentare una via alternativa, resistenziale e radicata nella tradizione europea: l’Arte Povera si propone appunto come «un tentativo di difesa degli spazi creativi e filosofici dell’arte», una pietra di scandalo, una contestazione del sistema artistico e dei suoi cliché, a partire dalla scelta dei materiali e delle forme espressive utilizzate.

Arte Povera: le tecniche

Se le tecniche tradizionali non vengono abbandonate, si sconfina tuttavia dal sistema dei generi codificati e l’orizzonte delle arti visive si estende nella direzione del gesto performativo e dell’intervento sul paesaggio. Molte opere sono realizzate in siti specifici e con materiali deperibili, proprio perché l’opzione linguistica a favore della «precarietà» contestava alla radice l’idea di opera d’arte come bene patrimoniale, da collezionare o musealizzare. Se il minimalismo americano proponeva una poetica della modularità e della asetticità, l’Arte Povera sceglieva materiali molli e acidi, acqua, fuoco, animali, cibi, stracci, legno, fascine, pietre... La dialettica Natura-Cultura si traduceva in una nuova visione dell’artista come sciamano e «alchimista», interessato «alla scoperta, la presentazione, l’insurrezione del valore magico e meravigliante degli elementi naturali».

 

In quale accezione si possa intendere correttamente l’ascendente antiamericanista dell’Arte Povera lo si deduce dalle parole dello stesso Celant: non si trattava di un’opposizione ideologica tout court a quanto arrivava da oltreoceano ma piuttosto della presa d’atto di un’inevitabile, radicale diversità: un europeo si portava addosso una tradizione artistica e filosofica pesante, antichissima, feconda, scontava inevitabilmente un rapporto vincolante con il tempo e con la Storia, aveva una lunghezza retrospettiva di sguardo condizionante e complessa. Con il passato gli artisti europei si confrontavano continuamente, rifrequentandolo, depurandolo, metabolizzandolo senza sosta, in una fatica consapevole e per certi versi “terapeutica”.

La Venere degli stracci di Pistoletto alla Città dell'arte - Fondazione Pistoletto
Cairo Editore
La Venere degli stracci di Pistoletto alla Città dell'arte - Fondazione Pistoletto
Arte Povera: i riferimenti al passato italiano, classico e povero

Interessanti alcuni collegamenti che Giovanni Lista ha suggerito per comprendere l’emergere di Arte Povera come fenomeno squisitamente endogeno, prodotto da condizioni verificatesi specificamente nel contesto socio-culturale italiano. Lo studioso indica innanzitutto il riferimento al pensiero di Pier Paolo Pasolini, e in particolare al grido di allarme che egli lanciava assistendo allo smantellamento dei valori della civiltà rurale e popolare italiana, causato dal brusco passaggio alla modernità industriale e alla società dei consumi e dall’urbanizzazione selvaggia; il movimento dell’Arte Povera può esser letto, appunto, come la risposta artistica a questo processo, come il recupero consapevole del gesto artigianale e della tradizione mediterranea.

Non a caso si può individuare un evidente sostrato classico-umanistico nei maestri poveristi: basti pensare alla Venere di Pistoletto, al riferimento vitruviano in Fabro, al grecismo di Paolini, all’ammirazione di Merz per Fibonacci, solo per citare alcuni esempi. Sarebbe inoltre indubbio, nella poetica della semplicità e dell’umiltà praticata dai poveristi, il riferimento al francescanesimo:

«L’ascendenza francescana dell’accezione di povertà che definisce il movimento legittima l’Arte Povera come la risposta più libera, identitaria e originale che la cultura italiana e, in definitiva, l’Europa abbiano potuto avanzare all’arte americana».


Un altro utile riferimento può essere il teatro del regista polacco Jerzy Grotowski, autore del volume Verso un teatro povero (1968), la cui traduzione circolava anche negli ambienti intellettuali italiani: nel teatro “povero” tutti gli apparati scenografici, musicali, illuminotecnici vengono ridotti al minimo, lasciando all’attore e ai suoi strumenti (corpo, viso, gesto, voce) il ruolo di protagonista assoluto. Un’estetica della riduzione e della sottrazione.

Mario Merz, Igloo di Giap, 1968
Wikimedia Commons
Mario Merz, Igloo di Giap, 1968
Roma e Torino: le città in cui si è sviluppata Arte Povera

La gestazione dell’Arte Povera inizia dunque in mezzo a molteplici tendenze, sostenuta dalle gallerie d’avanguardia, forti di proficui scambi internazionali. Il movimento nasce innanzitutto da incontri personali, da serate e discussioni fra amici e intellettuali accomunati da un’analoga «visione iconoclasta rispetto alla pittura dell’epoca».

Inizialmente i focolai di sviluppo più veloce sono Roma e Torino: Roma sembra manifestare un orientamento più performativo e materico, Torino un approccio più concettuale. A Roma operavano già Pascali e Kounellis, che utilizzavano materiali estranei al mondo dell’arte e praticavano la performance di memoria futurista; c’era inoltre Ceroli, con i suoi lavori lignei. A Torino lavoravano Paolini, con i suoi assemblaggi fatti di oggetti “banali”, e Pistoletto, che dal 1962 utilizzava l’acciaio lucidato a specchio e che successivamente iniziava la serie degli “oggetti in meno”; inoltre Mario e Marisa Merz, Zorio e Anselmo frequentavano materiali e modalità sperimentali.

Intanto a Milano nel 1965 Fabro presentava per la prima volta le sue strutture in vetro e tubi metallici.

Le mostre più importanti che hanno fatto Arte Povera

Ma al di là di queste e altre esperienze non ancora riconducibili a unità, il primo vero coagularsi di una poetica riconoscibile si ha nell’estate-autunno del 1967 con tre importanti mostre: Lo spazio degli elementi. Fuoco, immagine, acqua, terra (Roma, galleria L’Attico); Lo spazio dell’immagine (Foligno, Palazzo Trinci); Arte Povera e Im(immagine)-Spazio (Genova, galleria La Bertesca). Questi eventi espositivi suscitano l’interesse di molte importanti firme della critica italiana e di gallerie in altre città italiane e straniere.

Nel 1969 l’uscita del volume Arte Povera, presentato anche all’estero, accelera la conoscenza del movimento a livello internazionale. Storiograficamente tuttavia la dicitura “Arte Povera” ha vita breve: a partire dal 1971 scompare dagli scritti di Celant stesso, perché con la mostra Conceptual art - Arte povera - Land art (Torino, Gam 1970) il movimento sembra ormai sufficientemente strutturato e pronto a “scomparire” per non rischiare di sottrarre visibilità ai singoli artisti.

Luciano Fabro, L'Italia
Cairo Editore
Luciano Fabro, L'Italia
L'eredità di Art Povera dopo più di cinquanta anni

Alcuni di loro operano tutt’oggi nel solco di quella straordinaria esperienza. Il tempo ha mostrato il carattere anticipatorio di varie proposte linguistiche lanciate allora. Con la sua democratizzazione delle tecniche, dei materiali e dei linguaggi, l’Arte Povera ha ampliato definitivamente il dizionario dei generi e dei materiali, ha inaugurato un atteggiamento mentale di interculturalità e di inclusione destinato ad avere seguito, ha dato ufficialità al gusto per la contaminazione e per il nomadismo culturale.

In questi cinquant’anni Arte Povera ha superato l’avanguardia e ha vissuto un processo di mondializzazione e anche di musealizzazione, seguendo quella naturale vocazione al dialogo con l’architettura e l’ambiente che la caratterizzava sin dagli esordi. Ma forse l’eredità più importante consiste, più in generale, nella demolizione dei paradigmi e dei modelli codificati, nell’attenzione al processo più che all’esito, in quella spregiudicata passione per i materiali e la loro “vita” che, fuoriuscendo dalla Natura o dal quotidiano, acquisivano definitivamente cittadinanza nel territorio dell’espressione artistica.