La Pop Art italiana
Credits: Palazzo Sant'Elia

La Pop Art italiana

La mostra a Pistoia

A Pistoia una mostra sulla Pop Art in Italia: protagonisti, luoghi e diversità di un movimento che, nato a Londra, sovvertì e rivitalizzò la scena artistica nazionale.

Dove e quando è nata la Pop Art

La Pop art ha raccontato, interpretato e criticato in un modo del tutto nuovo una società dominata dalle comunicazioni di massa, con l’ossessivo martellamento pubblicitario e il consumismo eletto a sistema di vita. Nata a Londra nel 1956 in occasione di una mostra alla Whitechapel dal titolo profetico, This is tomorrow, secondo Richard Hamilton doveva essere «popolare, destinata a un pubblico di massa, effimera, facilmente comprensibile, di basso costo, rivolta alla gioventù, spiritosa, sexy, ingegnosa, affascinante e capace di creare un grande business». I suoi quadri, come quelli di David Hockney, Peter Phillips e Peter Blake, esplosero all’improvviso insieme alla minigonna di Mary Quant e al fenomeno dei Beatles: la grigia Londra venne sostituita con la velocità di un fulmine dalla Swinging London. Con queste caratteristiche la Pop art si diffuse in pochi anni a macchia d’olio, prima a New York e Los Angeles, poi a Parigi e Roma. Claes Oldenburg, scomparso nel 2022, la percepiva come «un’arte che prende le sue forme dalla vita, ed è dolce e stupida come la vita stessa».

La Pop Art in Italia

Nel nostro Paese la Pop art si affermò rapidamente.
Per Roberto Barni (1939), un protagonista di quel cambio di passo,

«negli anni ’50 si avvertiva fortissimo quel bisogno di concretezza e di forma che, nei primi anni ’60, provocò la rivolta della Pop art. Roma ha avuto una stagione molto felice e ha espresso diversi talenti, come Schifano e Pascali, che diceva di dipingere come Renoir. Rappresentavano qualcosa di preciso di quel momento storico che dialogava con il passato e preannunciava un certo futuro. Torino e Milano hanno avuto i loro artisti; anche Palermo con la rivista Collage e Napoli con Linea Sud hanno rivestito un ruolo rilevante. Infine quattro compagni di viaggio a Pistoia − con me c’erano Umberto Buscioni (1931- 2019), Gianni Ruffi (1938) e l’architetto Adolfo Natalini (1941-2020) − raccontarono ciascuno la propria versione della Pop art. Insieme al coraggio di essere pop c’era anche l’ambizione di dimostrarsi all’altezza di una grande tradizione».

Proprio Pistoia, dal 16 marzo al 14 luglio, ospita la mostra ’60 Pop art Italia a cura di Walter Guadagnini, che attraverso sessanta opere dei maggiori esponenti ripercorre la genesi e lo sviluppo del movimento nel nostro Paese.
Secondo Barni fu

«un fenomeno di ribellione all’Informale e al suo romanticismo un po’ scaduto, una sorta di rivolta e un invito alla concretezza. Nel 1960 mi ero fotografato come un Don Chisciotte con un imbuto sul capo e un ombrello come scudo. Indossavo piccole sculture di fil di ferro e mi sono fotografato accanto al mio necrologio esposto alla galleria Numero di Firenze nel 1962. Già dipingevo le topografie che in seguito sono diventati veri e propri paesaggi senza nulla di naturalistico, ma forse con già qualcosa di ecologico. Paesaggi popolati da persone, treni e auto resi attuali dalla pittura a smalto, senza bisogno d’insistere sui segni più tipici della società di massa».

Improvvisamente la Pop art, ovunque e in qualunque modo si manifestasse, gettò alle ortiche ogni distinzione tra pittura e cultura popolare, pittura e immagini stampate, pittura e reportage sociale. Le insegne stradali, le pubblicità e i fumetti divennero improvvisamente soggetti interessanti per un dipinto.

Roger su Flickr
Roger su Flickr
Fabio Mauri, Grande cinema a luce solida, giallo

Nel 1962 Mario Schifano (1934-1998) partecipò a una mostra nella prestigiosa galleria di Sidney Janis a New York: The new realists aprì trionfalmente la stagione d’oro della Pop art negli Stati Uniti. Schifano trovava le sue fonti d’ispirazione nella pubblicità, nel Futurismo e nella Metafisica, ma anche nell’arte concettuale e nell’astrazione americana di Barnett Newman, Franz Kline e Morris Louis:

«Ho scelto di andare nelle strade a vedere i cartelloni pubblicitari. Riprendevo le insegne della Coca Cola, gli ovali della Esso, facevo quadri col blu, col rosso, col giallo, ossia dei quadri monocromi, rifacevo i tracciati stradali, le linee bianche sull’asfalto».

Nella Pop art di Franco Angeli (1935-1988) prevaleva invece la forza del segno: la svastica, la falce e il martello, il dollaro, l’aquila, gli aerei stilizzati. Anche le composizioni di un artista concettuale come Fabio Mauri (1926-2009) negli anni ’60 sono contrassegnate da un’attenzione per i media e l’uso delle immagini della società consumistica: la sua è una Pop art filtrata attraverso la poetica del Nouveau Réalisme. Renato Mambor (1936-2014) metteva in scena nei suoi lavori − i Segnali stradali, i Timbri, gli Uomini statici e i Ricalchi − un’arte che si nutriva di continue contaminazioni, alla ricerca di una «visione oggettiva» popolata da figure stilizzate in grado di annullare ogni emotività. Claudio Cintoli (1935-1978) indagò il tema del doppio in tutti i modi possibili e immaginabili. Con i suoi personaggi fatti di passamanerie e oggetti applicati sulla tela, che sembrano i protagonisti di una pièce teatrale di Alfred Jarry, Enrico Baj (1924-2003) propose un’intensa riflessione sul ruolo delle immagini nella rappresentazione e nella percezione dell’individuo. Laura Grisi (1929-2017) ha proposto della Pop art un’interpretazione raffinata, filtrandola di volta in volta attraverso l’Optical art e l’Arte cinetica e programmata, il Minimalismo e l’Arte povera, così come Anna Comba (1945-2010) ha introdotto nei suoi lavori temi personali e sociali, talvolta apertamente erotici.
Secondo Barni,

«ci sono profonde diversità tra popolare e Pop, tra umorismo inglese e determinazione americana. L’Italia insiste a interrogarsi sulla bellezza e penso che sia una fortuna non farsi inghiottire dalla voluttà invitante del vuoto, proprio oggi che l’attrazione più terribile è diventata l’abisso delle cose insignificanti».

Questo approfondimento è tratto dal n. 607 di Arte. La rivista di arte, cultura e informazione è acquistabile in edicola o sul sito di Cairo Editore.

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Cairo Editore
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