Cecilia Alemani, curatrice 59° Biennale di Venezia
Credits: Andrea Avezzu, courtesy della Biennale di Venezia

Intervista a Cecilia Alemani, curatrice della 59° Biennale di Venezia

di Licia Spagnesi

Prima italiana alla guida della Biennale, racconta la sua edizione

Cecilia Alemani, prima italiana a curare la Biennale di Venezia, racconta in questa intervista il processo di organizzazione della 59° edizione dell'Esposizione internazionale d'arte, dai colloqui con artisti da tutto il mondo durante la pandemia all'importanza della rappresentazione delle donne nel mondo dell'arte. 

Nata a Milano nel 1977, una laurea in Filosofia alla Statale di Milano e un master al Bard College di New York, Cecilia Alemani dal 2011 dirige il programma di arte pubblica della High Line, il parco nell’ex ferrovia sopraelevata di Manhattan. Oggi è la prima italiana a curare la Biennale di Venezia.

Perché ha scelto Leonora Carrington come spirito guida della sua Biennale?

«Il suo libro Il latte dei sogni offre un pretesto per rileggere il nostro tempo in modo inatteso. La mostra è nata nel pieno della pandemia e nelle centinaia di colloqui su Zoom avuti con gli artisti è emersa l’urgenza di approcciare la realtà in cui viviamo attraverso il prisma dell’immaginazione, di dare vita a un mondo dove tutti possono cambiare, essere trasformati. E la mostra farà proprio questo, ci porterà in un viaggio attraverso le metamorfosi del corpo e le definizioni dell’umanità. Questo risultato è arrivato per convergenza: il mio interesse iniziale per il tema della metamorfosi, che accompagna l’uomo da millenni, ha trovato radici più profonde grazie alle discussioni con gli artisti. È emersa la necessità di ridefinire il rapporto con la natura, con gli animali, con il non umano; la tensione a plasmare relazioni simbiotiche con altre forme di vita, spostando il baricentro dall’uomo come misura di tutte le cose. E mai come oggi, con quello che stiamo vivendo, questa necessità di ridefinire gli equilibri e di rinegoziare la nostra centralità mi sembra urgente»

Con l’80 per cento di presenze al femminile, la sua Biennale darà una bella scossa al mondo dell’arte...

«Non vorrei che questa scelta venisse interpretata come una mia personale esigenza di lasciare il segno e dare una scossa al mondo dell’arte. Non è così. La scelta invece è quella di dare una rappresentazione reale del mondo dell’arte, di com’è oggi e di come si è evoluto nei secoli. È un mondo che è sempre stato rappresentato al maschile, ignorando e marginalizzando il contributo di tutte quelle artiste, studiose, teoriche che ne facevano parte ma a cui non veniva data voce. Ma c’è qualcosa in più, che rispecchia la contemporaneità: moltissime artiste e artisti oggi stanno immaginando una condizione postumana, mettono in discussione la figura tradizionale e prettamente occidentale dell’essere umano, in particolare la presunta idea universale di un soggetto bianco, maschio, uomo della ragione come misura del mondo e invece contrappongono alleanze tra specie diverse, corpi fantastici, esseri permeabili e ibridi»

Lei è la prima donna italiana a curare la Biennale in 127 anni di storia. Quali obiettivi si prefigge?

«Ho sentito il dovere di allargare gli orizzonti. Volevo che la mostra fosse il primo passo verso un ridimensionamento della centralità del ruolo maschile nella storia dell’arte e della cultura contemporanee. È una scelta che ha formato molto del mio lavoro, ma si inserisce in un movimento globale. Detto questo, non possiamo dimenticarci che la Biennale si tiene in Italia, un Paese dove la parità di genere è ben lontana dal realizzarsi, dove la percentuale di femminicidi continua a salire e dove i progressi visibili verso un mondo più equo rispetto ad altre nazioni sono ancora un miraggio. Ovviamente fare una mostra con tante donne non significa certo risolvere questi problemi, ma può avere una funzione correttiva, o anche solo un importante valore simbolico, nel contesto di un’Istituzione che, nata nel 1895, solo nell’ultima mostra a cura di Ralph Rugoff ha dato lo stesso spazio ad artisti e artiste. Vorrei che tutte le riflessioni che la mostra introdurrà contribuissero a cambiare profondamente le cose, che si arrivasse a una consapevolezza reale del mondo in cui viviamo e dei bisogni urgenti di cui le artiste e gli artisti si fanno portavoce. Fuor di retorica, se avessimo il coraggio di ascoltare davvero le artiste e gli artisti probabilmente ci risparmieremmo molte delle tensioni e delle crisi che il nostro pianeta sta vivendo da anni».

Cecilia Alemani, curatrice 59° Biennale di Venezia
Andrea Avezzu, courtesy della Biennale di Venezia
Cecilia Alemani, curatrice 59° Biennale di Venezia

Questo approfondimento è tratto dal n. 584 di Arte. Nel numero di Aprile sono presenti 3 articoli di anteprima sulla Biennale di Venezia. La rivista di arte, cultura e informazione è acquistabile in edicola o qui.

Coperina Arte Aprile 2022
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