Niucola Ricciardi, direttore di Miart
Credits: Miart via IG

Miart 2024: intervista a Nicola Ricciardi

Il direttore artistico delle ultime edizioni

Il direttore artistico di Miart, Nicola Ricciardi, fa il punto su questa edizione. Tra novità e conferme

Nicola Ricciardi è per la quarta volta direttore di Miart. Il suo incarico era iniziato nel 2020 in piena pandemia e nel 2021 si è trovato a dover gestire una manifestazione spettrale. Da allora, a dispetto delle cassandre, la ripresa è stata costante e l’edizione 2024 si presenta con 178 gallerie, il numero più alto dal 2019. Ma quest’anno, in una fase piuttosto controversa del mercato, Ricciardi ha fatto qualche aggiustamento proponendo un percorso trasversale all’insegna di No time no space.

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Quali sono le novità di Miart 2024?

«Rispetto al 2023 il numero degli espositori è cresciuto con una sempre maggior partecipazione da parte delle gallerie straniere. Il feedback è molto positivo e chi viene la prima volta difficilmente ci abbandona. Quest’anno poi ci sono ben tredici nuovi ingressi nella sezione principale, fra cui tre prestigiose realtà tedesche Buchholz, Neu e Kow, oltre alla brasiliana Fortes D’Aloia & Gabriel, punto di riferimento fondamentale per l’arte sudamericana. Altro elemento di forza è l’aver creato una collaborazione sempre più solida con le istituzioni in una città tra le più dinamiche in ambito europeo, come conferma il successo crescente della Milano Art Week. Ci sono poi due nuove sezioni, Portal e Timescape, che allargano l’offerta in ambiti di ricerca non contemplati in precedenza».

Tra le gallerie straniere, chi vorrebbe coinvolgere nella prossima edizione di Miart?

«Due nomi fra i tanti: Michael Werner, con sedi a New York e Londra, e Sadi Coles HQ di Londra, gallerie che sanno intercettare le nuove tendenze senza perdere di vista la storia».

E tra gli italiani?

«Massimo De Carlo, ma devo scontrarmi con il fatto che non vuole più partecipare alle mostre-mercato italiane. Spero di fargli cambiare idea».

La crisi del mercato ha colpito anche le fiere, che sembrano avere meno appeal di un tempo. Si assomigliano un po’ tutte e persino quelle più importanti come Art Basel potrebbero cannibalizzarsi avendo aperto troppe sedi. Che rischi corre Miart?

«Nessuno. C’è in effetti un ridimensionamento delle aspettative in ogni parte del mondo, ma credo che in questa fase le fiere glocal come la nostra abbiano ottime prospettive in quanto ai collezionisti si offre l’opportunità di scoprire opere stimolanti e convenienti, assai meno globalizzate che in altri contesti».

In quale torneo calcistico inserirebbe Miart?

«Se la Champions League è appannaggio di Art Basel e Frieze, Miart può giocare tranquillamente in Europa League insieme ad Arco, Art Brussels e Art Düsseldorf. Potrei dire che è come l’Atalanta, di cui sono tifoso».

La kermesse milanese non segue il trend dell’ultracontemporaneo. Sembra persino un po’ conservatrice.

«Sarei felice se i frequentatori di Miart avessero la sensazione di viaggiare avanti e indietro nel tempo provando stupore di fronte a stand dove non riescono a individuare l’epoca delle opere».

No time no space è il titolo che ha dato all’edizione di quest’anno prendendolo a prestito da una canzone di Franco Battiato. Ma quale colonna sonora s’immagina?

«Non posso tradire Franco Battiato. Sicuramente quella di Cuccurucucù dove convivono alto e basso, sofisticato e popolare. Del resto, lo sappiamo tutti: il mondo è grigio, il mondo è blu».