Cecilia Alemani, curatrice della 22° edizione della Biennale di Venezia
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Donne e arte: una rivoluzione

di Albert Fiz

Il ruolo delle donne nel mondo dell'arte con Cecilia Alemani

Con Cecilia Alemani abbiamo fatto il punto sul gender gap e su come sta cambiando l’altra metà dell’arte. Un processo accelerato dalla coraggiosa mostra da lei curata alla Biennale di Venezia.

Cecilia Alemani, curatrice della 22° edizione della Biennale di Venezia
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Cecilia Alemani, curatrice della 22° edizione della Biennale di Venezia
Arte e donna: a che punto siamo?

Dal 2008 al 2022 il mercato di Pablo Picasso ha generato in asta un giro d’affari di 6,2 miliardi di dollari, 30 milioni in più rispetto alle vendite pubbliche di tutte le donne artiste presenti nel mondo, compresa la più pagata, Yayoi Kusama. Del resto, solo il 3,3% del mercato è estraneo al mondo maschile.
Anche sul fronte istituzionale le donne hanno un ruolo minoritario e, in base a una recente inchiesta che ha coinvolto trenta musei americani, le acquisizioni negli ultimi dodici anni sono state l’11,9% del totale. Una radiografia impietosa rispetto a un sistema che per troppo tempo ha guardato l’umanità da un solo lato. Tuttavia, sebbene il gender gap non sia stato colmato, nell’ultimo triennio il sistema si è profondamente modificato e le donne, soprattutto quelle delle nuove generazioni, hanno raggiunto vertici impensabili. In base ai dati di Artprice, nel 2022 la classifica dei più pagati sotto ai quarant’anni è dominata dalle artiste, ben sette su dieci. Le grandi gallerie internazionali sono sempre più attente a mescolare le carte e la quota di donne ha raggiunto in taluni casi il 40%con i musei e le fondazioni d’arte contemporanea che hanno aumentato in maniera esponenziale i fondi per le acquisizioni rivolti alle donne. E in ottobre a Londra, durante Frieze, ha debuttato Women art fair, la prima fiera dedicata esclusivamente all’altra metà del cielo.

Una rivoluzione copernicana non certo conclusa a cui ha contribuito in maniera determinante la 59a Biennale di Venezia diretta nel 2022 da Cecilia Alemani. Se dalla sua fondazione alla fine del secolo scorso la media delle partecipazioni femminili ospitate dall’istituzione lagunare era stata inferiore al 10%, nell’ultimo ventennio è salita al 30%. Sempre troppo poco. Così Alemani ha deciso di andare oltre ogni quota invitando ben 192 donne e persone non binarie su 213 partecipanti, sfiorando così il 90%. Se questo non bastasse, sono stati 180 gli artisti selezionati presenti per la prima volta a Venezia:

«Una Biennale di donne? Nemmeno per idea», afferma Alemani. «Sarebbe come a dire che le altre 58 edizioni sono state Biennali di uomini. Il mio intento principale è stato quello di dimostrare che si potesse realizzare una grande mostra d’arte ribaltando le percentuali. Non c’è un’arte al femminile. C’è solo l’arte e per molti secoli straordinarie artiste sono state cancellate a favore di una storia di soli uomini. Del resto, Ernst H. Gombrich nella prima edizione della sua celebre storia dell’arte non ha inserito nemmeno una donna. E nella sedicesima ne compariva una».

L’obiettivo è stato raggiunto in un percorso trans-storico che, partendo dal Surrealismo (Il latte dei sogni che ha dato il titolo alla manifestazione era ispirato al libro di storie per bambini di Leonora Carrington), ha intrecciato stili e tendenze facendo emergere diversi femminismi:

«La mostra ha affrontato una serie di problematiche fondamentali come il postumano e la fine dell’antropocentrismo analizzati non in base al posthuman di Jeffrey Deitch che lo descriveva in chiave tecnologica, bensì nella logica della filosofa Rosi Braidotti, che presagisce una nuova comunione con il non umano, con l’animale e con la Madre Terra. Sono molte le artiste che hanno lavorato in questa direzione, dalla tedesca Julia Phillips all’artista inuk Shuvinai Ashoona, dalla siro-americana Simone Fattal all’italiana Giulia Cenci e alla rumena Andra Ursuta».

 

 

L'opera di Giulia Cenci, vincitrice del 21° Premio Cairo
Premio Cairo
L'opera di Giulia Cenci, vincitrice del 21° Premio Cairo

Andra Ursuta: arte fantasicentifica

Quest’ultima, alla sua terza Biennale (lavora con David Zwirner e Massimodecarlo), ha dimostrato di essere una delle personalità più significative, realizzando corpi cyborg in cristallo e tecniche 3D, sculture multiformi non prive di elementi distopici e fantascientifici. Ma la manifestazione lagunare con le sue tante scoperte ha rappresentato uno straordinario laboratorio che ha permesso di rimettere al loro posto le pedine sulla scacchiera:

«Ho realizzato un lungo lavoro di ricerca durato più di due anni con lo scopo di correggere la parzialità di una visione distorta e per molte artiste la Biennale ha fatto da cassa di risonanza. Come diceva Mirella Bentivoglio, tra le prime in Italia a organizzare rassegne di sole donne (a Venezia una delle sezioni storiche era ispirata alla sua mostra del 1978 Materializzazione del linguaggio), ciò che prima mancava non era la qualità ma soltanto l’informazione».

Andra Ursuta alal 22° Biennale di Venezia
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Andra Ursuta alal 22° Biennale di Venezia

Nell’ambito di quelle artiste che, secondo Alemani, possono essere definite ecofemministe per la capacità di esplorare gli archetipi in un contesto dove si dissolvono i confini della contemporaneità e i materiali primari vanno incontro a una progressiva trasformazione, si distinguono le grandi installazioni immersive fatte di terra della colombiana Delcy Morelos (da quest’anno la rappresenta Marian Goodman), gli arazzi della tunisina Safia Farhat o i vasi antropomorfi in ceramica della keniana Magdalene Odundo. Di particolare interesse anche l’indiana Mrinalini Mukherjee che solo nel 2019, quattro anni dopo la morte, è stata celebrata dal Met Breuer di New York nella prima mostra pubblica in America. Le sue sculture morbide appese al soffitto, realizzate con tessuti artigianali tinti con pigmenti vegetali, assumono un aspetto ambiguo e transitorio con rappresentazioni che evocano le antiche divinità mantenendo intatta una forte carica sensuale.

Mrinalini Mukherjee al Met Breuer di New York
Karl Steel via Flickr
Mrinalini Mukherjee al Met Breuer di New York
Donne nell'arte contemporanea: le scultrici

Paula Rego: arte e maternità, arte e violenza

Un altro omaggio sia pure tardivo è stato quello a Paula Rego, scomparsa nel 2022 a 87 anni pochi mesi dopo aver avuto la soddisfazione di debuttare in Biennale con una serie di opere che hanno fatto emergere la potenza espressiva di una grande interprete del realismo visionario (un suo dittico del 1995 ha raggiunto il 13 ottobre da Christie’s a Londra 3 milioni di sterline, nuovo record d’asta). L’artista portoghese ha affrontato in dipinti, installazioni e sculture le tematiche della maternità, la sottomissione della donna, lo stupro, in un’indagine introspettiva che coinvolge con inquietudine la sfera pubblica e privata:

«Spero che la Biennale abbia consentito a Paula Rego di vivere serenamente il suo ultimo periodo di vita. Lei è la dimostrazione di un’artista così profondamente attuale dall’essere dimenticata dall’attualità che ancora oggi fa fatica a sopportare la crudezza sardonica e grottesca delle sue opere», afferma Alemani.

 

Simone Leigh: il Leone d'Oro alla Biennale  22 con Brick House

Va poi ricordata Simone Leigh, a cui è stato assegnato il Leone d’Oro. Non solo è stata la prima artista afroamericana a rappresentare gli Stati Uniti (dal 2022 lavora con Matthew Marks) ma è stata la maggior attrazione della mostra all’Arsenale dove all’ingresso troneggiava Brick House, monumentale busto in bronzo di oltre sei metri con una donna nera che sembrava ergersi su una casa d’argilla. Al di là del gigantismo e della spettacolarità tipicamente americani si fa fatica a riconoscere la specifica originalità di un’opera che sembra aderire a una tradizione etnica millenaria. Spiega Alemani:

«Prima dell’approdo in Biennale, nel 2019 ho commissionato la scultura a New York per la High Line, nell’ambito del progetto di arte pubblica che curo dal 2011. Ebbene, nessun’altra opera ha suscitato così tante reazioni. La vera novità in un Paese ancora razzista come l’America è stata quella di proporre un monumento a una donna afroamericana installato su un plinto pubblico, visibile da milioni di persone».

 

Simone Leigh, Brick House
Thomas Molck via Flickr
Simone Leigh, Brick House
Donne nell'arte contemporanea: le pittrici

La manifestazione lagunare poi ha consacrato la pittura, un genere che, rimasto ai margini per decenni, è riesploso dopo il Covid con una potenza eccessiva, trovando ampi consensi da parte di un mercato piuttosto vorace non privo di spinte speculative. Alemani ha puntato su molte artiste, in gran parte giovani (subito dopo la sua scelta sono entrate nello star system) che hanno rielaborato in chiave contemporanea la lezione del Surrealismo.

 

Tra queste si potrebbero citare l’americana Christina Quarles, la svizzera Louise Bonnet, l’inglese Jadé Fadojutimi, la tedesca Jana Euler. Nell’ultimo periodo sono salite alla ribalta molte altre artiste che non hanno partecipato alla Biennale come la ritrattista Amy Sherald, specializzata in ritratti di personaggi di colore (l’inizio del suo successo risale al 2018, quando ha realizzato il ritratto di Michelle Obama), l’inglese Flora Yukhnovich, che rielabora i soffitti rococò, la canadese Anna Weyant, attratta dalla metafisica balthusiana, o la polacca Ewa Juszkiewicz, che mette in scena arcimboldeschi ritratti senza volto del ’700 e ’800 ricoprendoli di drappeggi, piante o insetti.

Probabilmente non ci sarà posto per tutte nell’empireo e alcune (lo stesso accadrà ai loro colleghi maschi) scivoleranno via senza lasciare traccia:

«Come sempre c’è buona e cattiva pittura e leggerla come categoria unitaria sarebbe un errore. A me non interessa la citazione chiara e sfacciata di stili del passato, ma la rielaborazione linguistica secondo criteri più concettuali che vanno al di là di parametri estetici o edonistici. È in questa maniera che ho scelto artiste e artisti presenti nella mia Biennale».

Qualunque giudizio si possa dare, la kermesse lagunare di Cecilia Alemani ha rappresentato la cartina al tornasole di un intero sistema che aveva la necessità assoluta di allargare la propria visione miope e parziale, non solo verso le donne ma anche verso le minoranze, gli artisti non binari o quelli di colore. Ora è quanto mai necessario ritrovare un equilibrio evitando battaglie esclusivamente ideologiche:

«Ho la sensazione che il concentrarsi sulle politiche dell’identità non sia vera letteratura»,

ha affermato lo scrittore norvegese Jon Fosse, vincitore del Premio Nobel 2023. Lo stesso concetto si può estendere all’arte di oggi.

Questo approfondimento è tratto dal n. 603 di Arte. La rivista di arte, cultura e informazione è acquistabile in edicola o sul sito di Cairo Editore

Cover Arte novembre 2023
Cairo Editore
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