Arte e Moda: connubio, contaminazioni e collaborazioni

Arte e Moda: connubio, contaminazioni e collaborazioni

di Claudia Trafficante

Il rapporto arte moda attraverso i secoli

Il 2019 è certamente ricordato per l’incredibile esposizione al Musée Yves Saint-Laurent di Parigi. Per la prima volta sono stati esposti i capi del couturier francese ispirati alle celebri opere di Piet Mondrian. La collezione, datata 1926, ha una storia particolare.

Saint-Laurent, a corto di idee, trovò ispirazione da un libro dell’artista olandese, donatagli dalla madre. I pezzi realizzati dallo stilista furono solo 26, ma rappresentarono il cuore pulsante della collezione. Saint-Laurent non fece mai mistero della sua passione per l’arte. Nutriva un forte legame con le opere dei grandi artisti. Sentiva di essere parte di quel mondo, seppur guardava ad esso con soggezione. Una delle sue celebri frasi recitava:

«La moda non è arte ma per fare vestiti bisogna essere artisti». È una considerazione intelligente che ci conduce a una riflessione importante proprio su questo rapporto mai sopito, antico e dinamico tra l’arte e la moda.

Il mondo dell’arte e quello della moda sono riusciti in un’impresa ardua: non solo registrano risultati positivi in un periodo di crisi economica generale, ma dimostrano come il gusto e il senso estetico si trovino ancora oggi alla base del sentire comune. La moda e l’arte fanno lo stesso mestiere: spesso si condizionano a vicenda, altre volte l’una è foriera di novità per l’altra. È il senso estetico ciò che accomuna arte e moda. Sarà poi il modus operandi di ognuna a caratterizzarle. Spesso le due discipline si incontreranno su un terreno comune, dando vita a dei capolavori senza tempo.

Come nasce la moda?

Per comprendere come nasce la moda bisogna fare una prima importante distinzione: la moda e l’abbigliamento sono due concetti diversi. La necessità di “vestirsi” nasce contemporaneamente a quel senso del pudore che è cardine di ogni società occidentale. La moda invece è ben altro. Scaturisce, come spesso accade, all'interno di gruppi benestanti che usano un diverso tipo di vestiario per sottolineare il proprio lignaggio.

Il Medioevo 

Questa condizione è tipica del Medioevo, per esempio, quando l’abito iniziò a rappresentare un ruolo sociale. Ben presto, assieme alla “posizione”, l’abito declina anche la tipologia di risorse economiche di chi lo indossa. Probabilmente il gusto aveva ancora un ruolo marginale in questa fase, in cui si prediligeva la volontà di distinguersi dalla gente comune.

Esiste un’immagine evocativa di questo periodo nei Tacuina sanitatis, in cui le donne contadine vengono rappresentate al chiuso, nelle miniature che accompagnano il testo, con vestiti semplicissimi e con tonalità scure, quasi abuliche. Al contrario, in quel periodo le donne che facevano parte della borghesia e della nobiltà venivano rappresentate in ben altri costumi, con abiti di lusso a colori vivi.

Ancien régime

Questo atteggiamento fu poi messo in risalto nel periodo dall’ancien régime, in cui la società doveva essere facilmente riconosciuta nella scala gerarchica. Il lusso dei palazzi reali sottolineava un benessere inarrivabile per la plebe. Lo dimostrano i molteplici ritratti dell’epoca, in cui i membri delle corti apparivano curati in ogni dettaglio estetico, dalle acconciature agli accessori.

Dal canto loro, gli artisti, chiamati a corte per dipingere quell’affresco sociale che erano i nobili delle corti europee, vedevano nell’abbigliamento lo strumento cardine per rendere tangibili le loro rappresentazioni. Come per esempio, il Ritratto di Elisa Bonaparte di inizio 1800, dell’artista francese Marie G. Benoist. Nell’opera, la sorella di Napoleone viene rappresentata con un abito bianco e rifinitura in oro. Una tiara, degli orecchini e un mantello rosso donano definitivamente un’aurea regale alla granduchessa di Toscana.

Lo stile del Settecento, così come appare nelle opere degli artisti di quel periodo, era monotono per quello che riguardava la scelta dei tessuti.

La vera innovazione arrivò con le professioni legate alla moda, le quali prevedevano che, oltre a saper maneggiare i tessuti, ci fossero un estro e una creatività notevoli. Si trattava di una vera rivoluzione culturale, che non poteva svilire quelle novità sociali che in Europa si stavano compiendo tra il Settecento e l’Ottocento.

Una delle protagoniste di questo periodo è certamente Rose Bertin, la modista di Maria Antonietta di Francia. Resta un simbolo della grandeur della corte francese l'opera in cui è ritratta la giovane moglie del Delfino di Francia per mano della brillante pittrice Elisabeth Vigée Le Brun. L’opera non a caso si intitola Maria Antonietta in gran abito di corte, ed è oggi conservato a Vienna presso il Museo Kunsthistorisches. L’artista ritrae Maria Antonietta in uno dei suoi abiti più belli e curati. L’intento è quello di dettare la moda nelle corte europee. Per gli storici dell’arte, lo studio dell’abbigliamento tramite il dipinto è stato di enorme utilità, per esempio per datare un’opera o per approfondire lo studio su una determinata epoca.

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È un’epoca di rivoluzioni, questa. Infatti, di pari passo alle novità in campo artistico, strettamente legate alla moda, nascono le prime riviste specializzate.

Moda e arte: Ritratto di Maria Antonietta regina di Francia
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Maria Antonietta e i suoi figli
L'Imperatrice Josephine nel ritratto di Sir David Wilkie, 1836
Birmingham Museum Trust
L'Imperatrice Josephine, ritratto di Sir David Wilkie, 1836
La nascita delle riviste di moda: Francia e Regno Unito

A partire dal 1778 in Francia vennero pubblicati una serie di fascicoli intitolati La Galerie des modes. Al suo interno le pagine presentavano alcune importanti stampe nelle quali erano illustrati graficamente abiti e acconciature di quel periodo. Molti artisti vennero chiamati nelle neonate redazioni di moda, con lo specifico compito di realizzare delle vere e proprie opere d’arte, che da un lato rappresentavano la situazione attuale della moda parigina, dall’altro erano veri gioielli dell’incisione dell’epoca.

Tra loro ricordiamo i nomi di alcuni tra i più importanti incisori francesi di quel periodo: Nicolas Dupin, Augustin de Saint-Aubin, Jean-François Janinet, Etienne Claude Voysard e molti altri. In nove anni di attività, La Galerie pubblicò oltre quattrocento tavole illustrate. L’enorme successo editoriale, voluto da Jean Esnaut e Michel Rapilly, diede il via a una serie di altre pubblicazioni memorabili. In Inghilterra nacque The Lady’s Magazine, una delle più longeve pubblicazioni britanniche.

La nascita delle riviste di moda: la moda come nuovo stile pittorico e sviluppo socio-artistico

Già ai suoi esordi, quindi, la stampa di settore si distinse per la presenza di illustratori che provenivano direttamente dal mondo dell’arte: era una conseguenza naturale che aveva origine da quel recente passato nel quale gli artisti avevano seguito, e spesso ne erano stati artefici, quel cambiamento sociale ed estetico avvenuto all’interno delle corti europee.

Le sorelle Colin, Paul Gavarni e Jules David furono gli artisti che più di tutti crearono quello stile pittorico che sposa a perfezione gli ideali in voga in quel periodo. La loro funzione non fu meramente illustrativa, essi contribuirono definitivamente alla creazione di quel gusto artistico a cui la società parigina prima, e del resto d’Europa dopo, fece riferimento per divulgare e condividere i cambiamenti sociali e politici attraverso la moda.

Inoltre essi contribuirono enormemente sia all’incremento delle riviste di moda popolari in tutta Europa, ma anche alla nascita di figure più strettamente legate a quella che sarà definita industria della moda così come la conosciamo oggi. Ogni generazione si è dovuta confrontare con il costume, inteso esattamente per abbigliamento, e ogni cambio di moda e di gusti è coinciso con cambiamenti sociali importanti.

La nascita delle riviste di moda: USA

Vogue: la storia della più importante rivista di moda

La rivista di moda per antonomasia, Vogue, fu fondata negli Stati Uniti nel 1892. Lo scopo principale della rivista, all’epoca settimanale, era quella di mostrare lo stile di vita dell’alta società newyorkese. Inizialmente la rivista non era appannaggio del solo pubblico femminile, anzi. Gli articoli al suo interno attiravano l’attenzione anche del pubblico maschile. Quello che però colpiva erano di sicuro le sue copertine. All'inizio semplici illustrazioni, col passare del tempo divennero il fulcro della rivista stessa.

La copertina era lo specchio di una società in evoluzione: rappresentava gusti e cambiamenti dell’epoca. Doveva essere accattivante e realistica, insomma doveva rappresentare al meglio la storicizzazione della società. Ed ecco apparire copertine più curate, importanti, simbolo di una società che si stava evolvendo rapidamente.

Nel corso degli anni Vogue è cambiata, come sono cambiate le mode.

Dalle copertine ideate da famosi illustratori come Georges Lepape, Helen Dryden e Salvador Dalí, ai fotografi più importanti del mondo, Richard Avedon, Steven Meisel, Mario Testino, Patrick Demarchellier. Non a caso, nel 2014 la Fondazione Hermann Geiger di Livorno ha dedicato un’interessante mostra alle copertine del mensile newyorkese, intitolata Vogue. Donna e stile nell’arte dell’illustrazione, in cui viene celebrata non tanto la moda tout court, ma gli artisti che hanno reso il mensile di Condé Nast la più celebre rivista di moda al mondo dagli esordi ai giorni nostri.

 

Non solo uomini: sono state tante le donne fotografe nella storia.

 

Quello che salta all’occhio è la volontà dell’arte di rappresentare sé stessa: l’arte che imita l’arte. Più di una copertina di Vogue è stata volutamente riferita ad artisti senza tempo. È il caso di una copertina di British Vogue del 1975: l’omaggio a Paul Gauguin con la modella hawaiana Marie Helvin ritratta come in un’opera dell’artista francese è chiara ed è un riferimento immediato.

La nascita dell'haute couture

Abbiamo visto come gli artisti furono i veri realizzatori di questa rivoluzione dei costumi, che già a partire dal Settecento vede le grandi corti travolte dalle novità sartoriali create per loro da professionisti dell’arte, gli stessi senza i quali la stampa di settore non avrebbe avuto nessuna speranza di arrivare al grande pubblico. In questa fase l’artista è visto come il deus ex machina di un forte cambiamento sociale legato alla moda. La creatività, il gusto e l’estro sono la base da cui partire per intraprendere questa rivoluzione che riguarderà soprattutto la nascita di una figura fondamentale per le sorti della moda moderna: il couturier.

Figure come Charles Frederick Worth e Paul Poiret rivoluzionarono l’immagine dell'artista così come era inteso fino ad allora: non più al servizio delle corti, ma a servizio della creatività. In un certo qual modo la figura dell’artista couturier rappresentava un ponte tra il sacro e il profano. Il mondo della moda si è rivelato ben presto come il modo più “pop” per l’arte di arrivare a tutti, spesso inconsapevolmente. In poco tempo si passò dalle botteghe degli artisti alle maison. Iniziava così il Novecento in Europa.

Coco Chanel stilista e ispiratrice

Gabrielle Bonheur Chanel, l’eterna Coco, ruppe, tramite le sue collezioni, quel rapporto ormai stantio con la Belle Epoque.

L’idea delle donne costrette nei bustini era ormai anacronistica. La vera svolta avvenne quando la stilista incontrò e strinse una profonda amicizia con Misia Sert, pianista di origini russe, musa e amica di molti artisti. Fu proprio Misia a introdurre Coco nell’ambiente artistico parigino.

Fu così che conobbe Pablo Picasso e Jean Cocteau. Per i due artisti Coco disegnò i costumi per il balletto Le train bleu diretto da Cocteau e arricchito con delle immagini create da Pablo Picasso. L’arte e le correnti artistiche del Novecento entrarono così nella poetica di Chanel.

Evidenti sono le tracce dadaiste nel font scelto da Coco per mettere in commercio il suo Chanel n°5: oltre alla forma modernista della boccetta, l’etichetta raccontava molto delle contaminazioni che la stilista raccoglieva e trasformava in quegli anni rivoluzionari. Dunque, gli anni Venti e Trenta del Novecento furono sicuramente contraddistinti dallo stretto rapporto fra arte e moda.

Ne sono un ulteriore esempio i lavori della stilista Madeleine Vionnet (1876-1975), che si ispiravano al peplo delle statue greche, ma non solo. Celebri furono alcuni dei suoi abiti ricamati con la serie di figure rosse e nere dipinte su alcuni vasi greci esposti al Louvre. Vionnet non fu solo un’innovatrice, ma ispirò generazioni di stilisti.

moda e arte: Coco Chanel
Laura Loveday da Flickr
Coco Chanel
Elsa Schiaparelli: la rivoluzionaria della moda

Nella sua autobiografia intitolata Shocking Life, Elsa Schiaparelli (1890-1973) racconta il suo sodalizio artistico con Salvador Dalí, Man Ray e Marcel Duchamp. Negli anni Venti la Schiaparelli lanciò una linea con un maglione decorato con un dettaglio surrealista sul collo: una sciarpa trompe l’oeil. Fu la sua fortuna.

La poetica surrealista fece parte di molte delle sue collezioni. Ne interpretava lo spirito tramite bottoni a forma di animali, di caramelle; famose le sue stampe su tessuto con soggetti surreali, dai giocolieri all’aragosta. L’amicizia con artisti del calibro di Ray e Duchamp le offrì molti spunti di creatività: celebre il suo cappello a forma di scarpa rovesciata, nato dalla collaborazione con lo stesso Salvador Dalí. Elsa Schiaparelli fu una rivoluzionaria. Aveva una visione della moda e dell’arte ultramoderna che rompeva i canoni del tempo. Non a caso disegnò, non senza sollevare critiche, la prima gonna pantalone.

Le avanguardie: la moda come strumento di propaganda

Il rapporto fra le avanguardie storiche e la moda era dettato da regole imprescindibili.

Addirittura il Manifesto di Marinetti sottolineava come il Futurismo fosse indispensabile anche nell’ambito della moda, perché l’abito, tramite le sue fogge e i suoi colori, poteva “propagare” un’idea, uno stato d’animo. Insomma l’abito come lo strumento ideale per la propaganda.

Sarà Giacomo Balla nel 1914 a parlare di Vestito Antineutrale. Nella pubblicazione Balla dettò alcune regole sull’abbigliamento futurista, in contrapposizione con un passato in cui gli uomini erano schiavi di una certa società, per cui «[...] gli uomini usarono abiti di colori e forme statiche, cioè drappeggiati, solenni, gravi, incomodi e sacerdotali. Erano espressioni di timidezza, di malinconia e di schiavitù, negazione della vita muscolare, che soffocava in un passatismo anti-igienico di stoffe troppo pesanti e di mezze tinte tediose, effeminate o decadenti. Tonalità e ritmi di pace desolante, funeraria e deprimente».

Quindi per i futuristi la moda era strettamente connessa con la società ed era sinonimo di rivoluzione culturale e sociale. Per Fortunato Depero, gli abiti dovevano prendere forme e colori delle opere futuriste in netta contrapposizione all'estetica dell’abito borghese. Per i futuristi la società doveva cambiare il punto di vista e la moda era libertà di espressione rispetto al passato. Non dimentichiamo i famosi panciotti indossati dagli esponenti del Futurismo in una celebre fotografia scattata a Torino nel 1924. Depero e Marinetti in primo piano fanno sfoggio del vestiario futurista creato da loro stessi.

Negli anni Novanta la stilista Laura Biagiotti, già collezionista delle opere di Balla, decise di dedicare un’intera collezione di abiti ispirati alle opere dell’artista futurista.

Dalla Pop Art ai giorni nostri

Alla fine degli anni Cinquanta nasce in Inghilterra una delle più prolifiche correnti artistiche: la Pop Art.

Il filo conduttore del movimento è il linguaggio visivo nella quotidianità. Gli oggetti vengono raffigurati come fossero totem della società che si trasforma dalla miseria della guerra. Artisti come Paolozzi, Baj, Hamilton in Europa e Lichtenstein, Warhol, Johns negli Stati Uniti, danno vita a una rivoluzione artistica e linguistica fondamentale. Prima di diventare un artista discusso e apprezzato, Warhol lavorava come illustratore di moda per alcune delle più importanti riviste di settore negli Stati Uniti: Vogue, Harper’s Bazaar, Glamour.

Fu questa esperienza che mostrò a Warhol il potere delle immagini e della comunicazione sulla massa. La moda, le immagini patinate avevano creato nell’artista di Pittsburgh un’idea di come l’arte potesse spezzare la routine e diventare “popolare”, Pop per l’appunto. Il suo legame con il mondo della moda fu fondamentale per lo sviluppo della sua poetica artistica. Già amico di Yves Saint-Laurent, Warhol fu da sempre consapevole del ruolo che la moda assieme all’arte ricopriva in una società in rapida evoluzione. Le immagini dovevano diventare icone della società contemporanea, riconoscibili a colpo d’occhio.

La stessa sorte doveva toccare agli abiti dei grandi stilisti: la firma era nell’abito e l’abito diventava così un simbolo di quel tempo. Nel 2015 a Milano viene allestita la mostra Andy Warhol: Illustrations for Fashion Magazines 1951-1963. L’esposizione ripercorre il sodalizio tra la Pop Art e la moda.

A questo proposito molti sono stati gli stilisti che hanno utilizzato le iconiche immagini della Pop Art per creare i loro abiti, soprattutto a partire dalla fine degli anni Ottanta. Uno tra i più iconici stilisti italiani, Gianni Versace, dedicò a Warhol un abito che riproduceva il Dittico di Marilyn del 1962 e Rebel Without a Cause (James Dean) del 1985.

Le icone della Pop Art, soprattutto riferite a Warhol, hanno dato vita a una lunga serie di collezioni di moda che hanno così generato un fenomeno legato all’icona e alla facilità con cui chiunque vede oggi un barattolo della zuppa Campbell stampato su una T-shirt, riconosce la mano dell’artista immediatamente. Nel 2008 gli stilisti Dolce&Gabbana hanno creato una partnership con l’Accademia di Brera. Gli abiti, disegnati dagli stilisti, sono stati dipinti dagli studenti. Memorabili quelli che riproducevano le opere di Emilio Vedova. Una contaminazione di incredibile efficacia quindi quella tra l’arte e la moda, ma che abbiamo visto avere delle radici antichissime.

È un lungo viaggio tra la storia dell’arte e quella del costume che coinvolge grandi rivoluzioni sociali, politiche, intellettuali. La moda e l’arte sono parte integrante del vivere quotidiano, in continua evoluzione e in perpetuo movimento.