Giacomo Balla
Giacomo Balla frequenta a Torino una scuola serale di disegno e, per due mesi, l’Accademia Albertina, dove conosce Bertieri che lo presenta a Pellizza da Volpedo. Nel 1895 si trasferisce a Roma, per poi trasferirsi a Parigi nel 1900, lavorando per l’illustratore Macchiati. Tornato in Italia, si serve della tecnica divisionista, guardando a Morbelli e Pellizza, con analoga attenzione a temi umanitari uniti all’interesse scientifico per gli effetti della luce, sia naturale, sia artificiale ("La giornata dell’operaio", 1904; "Lampada ad arco", 1909).
Nel 1910 aderisce al Futurismo e sottoscrive il Manifesto dei Pittori Futuristi e il Manifesto Tecnico della Pittura Futurista; nel 1915 con Depero firma il manifesto Ricostruzione Futurista dell’Universo.
Nonostante l’adesione alle tematiche moderne, fino al 1912 continua a lavorare secondo uno stile di ispirazione divisionista.
L’interesse per la cromofotografia di Etienne-Jules Marey e il fotodinamismo di Bragaglia è alla base della sua idea del Futurismo, fondata sulla scomposizione del movimento in stadi successivi ("La mano del violinista", "Dinamismo di un cane al guinzaglio"). Nel 1912-14 realizza i cicli delle “Compenetrazioni iridescenti” – composizioni totalmente astratte in cui riduce gli effetti della luce e della velocità a una purezza di forme geometriche – e delle “Velocità astratte”, immagini di automobili a forte velocità e di rondini in volo. Del 1915 è la serie delle “Dimostrazioni interventiste”, lavori di grande vivacità cromatica che riflettono l’entusiasmo patriottico dei futuristi per l’entrata in guerra dell’ Italia.
Nei primi anni Venti crea opere di ispirazione costruttivista quali "Numeri innamorati", vicine alle immagini meccaniche di Pannaggi e Paladini. Dal 1925 alla produzione futurista si affiancano lavori che recuperano la figurazione, che diviene scelta esclusiva dalla metà degli anni Trenta.