Mario Nigro: Opere
Le sue mostre a Milano da non perdere
Protagonista silenzioso e appartato (almeno all’apparenza) della più pura e radicale arte astratta italiana prodotta subito dopo il Secondo dopoguerra, Mario Nigro (Pistoia, 1917 – Livorno, 1992) esordisce relativamente tardi, nel 1949, con la prima mostra personale alla Libreria Salto di Milano, città che nel 2023 gli ha dedicato la più grande mostra retrospettiva mai organizzata su di lui. Curata da Antonella Soldaini ed Elena Tettamanti, con 140 opere tra dipinti, sculture, carte e documenti che vanno dal 1947 al 1992, è diffusa in tre sedi: Palazzo Reale, Pac e Museo del Novecento. A Palazzo Reale e al Museo del Novecento.
Se l’arte in genere o la pittura in particolare possono darsi come ricerca affine a quella scientifica, la figura di Mario Nigro, a partire dal suo vissuto biografico, è esemplare in tal senso. Laureato in chimica nel 1941, inizia a lavorare nel campo della mineralogia per prendersi una seconda laurea in farmacia nel 1947, campo professionale che abbandonerà nel 1958 per dedicarsi esclusivamente alla pittura. Un percorso che ricorda per certi versi quello di un altro protagonista, ovvero Alberto Burri, laureato in medicina e dedicatosi alla pittura all’età di trent’anni. Più nell’ombra rispetto al grande pittore di Città di Castello, Nigro però si è ritagliato un suo spazio particolare, pur partecipando alle temperie del movimento astratto in Italia. Prima di tutto perché prese parte al Mac, Movimento per l’arte concreta, allargato anche all’ambito europeo, in cui gravitarono pittori, designer e architetti, dai suoi fondatori originari come Bruno Munari, Gillo Dorfles, Atanasio Soldati, Ettore Sottsass fino ai nuovi arrivati come Gianni Bertini, Luigi Veronesi, Marco Zanuso e appunto Nigro. Movimento che costituì l’alternativa a Forma Uno (altro importante gruppo di arte astratta italiana nato nel 1947) e che durò ben dieci anni, tra 1948 e 1958. Poi perché le opere di Nigro furono esposte nelle edizioni più calde del periodo più significativo forse delle Biennali di Venezia: ovvero il 1964 (l’anno della vittoria di Robert Rauschenberg e della conquista da parte della Pop art del mercato europeo) e il 1968 (l’anno della contestazione e della chiusura delle sale espositive). A queste seguirono poi le partecipazioni alle edizioni del 1978, del 1982 e del 1986.
La mostra ripercorre ovviamente queste vicende e al Pac di Milano una conferenza ha ricordato un evento doppiamente tragico, sia per la storia del Paese che per quella dell’artista: il 27 luglio del 1993 un attentato terroristico-mafioso in via Palestro interessò parte degli spazi del museo di arte contemporanea dove era allestita proprio una mostra antologica di Nigro. Se la serie degli Spazi totali è senza dubbio la più caratterizzante, Ritmi, Pannelli a scacchi, Tempo totale, Collages vibratili, Orizzonti, Ombre, Meditazioni, Strutture formano un corpus di opere che trasmette una poetica lirica ed esistenziale pur senza abbandoni espressionisti. Di Terremoto, datato al 1980, scriverà l’artista:
«Perché il mio “terremoto” è verticale non so, non ci avevo ancora pensato. Ovviamente la mia linea non ha un riferimento figurativo con l’orizzontalità del terremoto terrestre... La ragione è che la mia linea viene dalla Tempesta (di Giorgione), è come un fulmine. Non mi sono mai posto il problema di una relazione tra il cielo e la terra, l’alto e il basso... ma forse ci sarà. Qui devo ribadire come nella mia arte tutto è in funzione del concetto che i dipinti sono completamente indipendenti dal supporto, ne sono liberati. Io potrei dipingere per aria, come faceva Picasso con le lampadine per Satie».
Nigro non fu quindi un astrattista razionalista e freddo, nonostante il rigore dei suoi reticoli, grate, scorci prospettici schiacciati e scacchiere inclinate. Le sue Tensioni reticolari del 1956 risentono del clima politico del momento (l’anno dell’invasione sovietica dell’Ungheria), le sue asimmetrie della simultaneità futurista emotivamente ed empaticamente surriscaldata, i Dipinti satanici sono contemporanei al libro Versetti satanici di Salman Rushdie del 1988, a cui si ispirano. Nigro è stato un artista dei nostri tempi, ma da un punto di vista non allineato e distaccato eppure a suo modo partecipato e senza retorica, sapendo tenere in equilibrio la linea apollinea dell’arte astratta con quella dionisiaca. Del resto, per uno come lui, che aveva coscienza e conoscenza della struttura intima della conformazione degli elementi primi della materia (chimica, farmacologia e mineralogia essendo stati suoi temi di studio e formazione), l’arte astratta non sarà che un modo diverso di vedere la stessa sostanza di cui è fatto il mondo delle cose visibili e di quelle invisibili, che al fondo è composto di strutture geometriche, relazioni e campi di energia.
L’effetto ottico dei suoi reticoli e spazi totali – fu anche autore di veri e proprio ambienti – non deve quindi ingannarci: non siamo nel campo dell’arte programmata né optical. Mentre la persistenza della sua linea “chirurgica” tende ad aprire piuttosto che delimitare gli spazi, la sua virtualità cromatica e tridimensionale è sempre tesa e vibrante, i veri e propri polittici di dipinti astratti sono ricomposti sul- le pareti come fossero sculture bidimensionali. Tutto ciò fa dell’opera di Nigro un complesso variegato e non omogeneo, dai cui squilibri, piuttosto che dai soli equilibri, emerge un senso drammatico e vitale allo stesso tempo, fondato appunto su relazioni e campi di energia. Potremmo addirittura concepire le sue opere come un omaggio alla temporalità, alla vita scandita dalla pittura come fosse un orologio o come le sue opere fossero clessidre, metronomi, itinerari, mappe su cui posizionare le coordinate dell’esistenza e su cui registrare le perturbazioni sismiche del ritmo del proprio tempo.