Antonio Donghi

Roma, 16 marzo 1897 - Roma, 16 luglio 1963

Formazione: nel 1916 Antonio Donghi ottiene il diploma del Regio Istituto di Belle Arti. Tornato dalla guerra, approfondisce lo studio della pittura del XVII e XVIII secolo a Firenze e a Venezia.

I quadri realizzati tra il 1920 e l’inizio del 1923 appaiono di matrice secessionista. Nel 1923 partecipa, con stile pittorico rinnovato, decisamente più plastico, all’Esposizione di Belle Arti, dove viene notato da Ugo Ojetti.

 

Nel 1924 Donghi riscuote notevole successo: a dicembre inaugura una personale presso la Casa d’arte Bragaglia, in questa occasione pare che de Chirico affermi: «Totò (Donghi) è migliore di Casorati».

 

L’esposizione viene notata dalla stampa che già delinea le caratteristiche del pittore: la sua capacità di dipingere la realtà in maniera tanto fedele quanto stralunata. L’artista è menzionato nel libro di Franz Roh, uscito nel 1925, che consacra quei movimenti di ritorno all’ordine diffusi in tutta Europa; lo stesso anno partecipa alla mostra “Neue Sachlichkeit” a Mannheim.

 

Nel 1926, in gennaio, inaugura a Boston la mostra itinerante “Exhibition of Modern Italian Art”. Questa esposizione segna l’inizio della fortuna di Donghi negli Stati Uniti, che culminerà con l’assegnazione del premio d’onore Carnegie a Pittsburgh nel 1927.

 

Del 1926 è l’esordio alla Biennale di Venezia. Nel 1929 Donghi prende parte alla “Prima mostra del Sindacato Laziale Fascista”; la sua presenza viene segnalata da Roberto Longhi su “L’italia letteraria”:

«Di sempre maggiore artificio pare, a prima vista, il Donghi. Giovi almeno riconoscere – ciò che non si vuole da molti – che l’artificio lo spinge a un iniziale impulso di naturalezza. La semplicità sempre più arida delle sue forme ci pare infatti da intendere non come un mero formalismo alla maniera dei neoclassici più noti e insopportabili, ma come il risultato di una volontà nello scegliere ed accomodare l’ambiente più favorevole allo spiegamento della propria adorata specialità: la quale, è strano non lo si riconosca, è quella di un pittore di “valori”».

 

Nel 1935 a Donghi è riservata una sala alla II Quadriennale di Roma. Le accoglienze della critica sono in parte negative a causa del cambio di stile: la pittura più secca, così come i colori, lasciano meno spazio all’aneddoto creativo. Del 1936 è una delle più famose opere di Antonio Donghi, "Margherita".

 

Nel 1942 esce la prima monografia sull’artista edita da Hoepli con un testo di Leonardo Sinisgalli. Nel 1949 Donghi è presente con tre opere alla mostra del MoMaTwentieth-Century Italian Art”, dedicata all’arte italiana dal Futurismo fino alla “ricostruzione”.

 

Gli anni Cinquanta sono una fase di ripiegamento per l’artista: in questo periodo partecipa, in tono minore, alle Biennali e alle Quadriennali del decennio. L’ultimo periodo della vita di Donghi Antonio è quello più duro: «Ora sono cambiate molte cose: noi figurativi siamo considerati dei superati, ora trionfa l’astrattismo, riconosciuto come Arte Ufficiale, insomma è il pazzo che diventa saggio e viceversa. Mi dicono che vendono a prezzi alti, ma io non ci credo e un giorno finirà anche quello» afferma in una lettera indirizzata all’Ufficio delle tasse nel 1962, che si conclude con «Vi prego di fare nuovi accertamenti. Tenore di vita modestissimo».