Autoritratto, Endless
Credits: Uffizi

Endless: il primo street Artist nella collezione permanente degli Uffizi

di Sara Boggio

L'intervista all'artista britannico che ha donato un suo autoritratto al museo fiorentino guidato da Eike Schmidt

È primo street artist incluso nella collezione permanente degli Uffizi, con un autoritratto insieme a Gilbert & George: il che basta a confermare che la Street art, così come l’abbiamo conosciuta, è definitivamente ufficializzata (le premesse del resto c’erano tutte, da Banksy a Obey a JR, accolti a braccia aperte in spazi pubblici e gallerie private, aste e istituzioni museali). Dedicato alla “religione del nostro tempo” – la moda, la pubblicità e i media – il suo lavoro è nato in strada come quello dei colleghi, ed è dai muri di Londra che ha attratto sia il mondo fashion che quello dell’arte, contemporanea e antica. Ma Endless (1984), se diamo retta al nome, non finisce qui.

L'artista Endless e il direttore degli Uffizi Eike Schmidt alla cerimonia di donazione dell'opera
Uffizi
L'artista Endless e il direttore degli Uffizi Eike Schmidt alla cerimonia di donazione dell'opera
Chi è l’artista che fa il verso alla Regina d’Inghilterra, Chanel, Karl Lagerfeld, Kate Moss (e piace a tutti)?

“Endless”: un nome che suona sia come una profezia che come un brand: come ti è venuto in mente?

«Quando fai Street art devi inventarti un nome e così ho fatto, ma volevo anche che suonasse come un brand perché oggi tutto è un brand: se sei un artista sei un brand, se sei sui social media sei un brand... Ne ho scelto uno breve perché fosse potente e facile da ricordare. Per quanto riguarda il significato, descrive il mio modo di pensare, il flusso continuo di idee che ho in testa: penso per immagini, senza fine».

Nella Street art, e soprattutto nel tuo caso, essere anonimi però non è più necessario.

«All’inizio facevo tutto illegalmente, quindi dovevo essere anonimo. A parte quello, per me lo pseudonimo registra una separazione, una sorta di fuga da altre forme di esistenza: quando sono diventato Endless, ogni cosa è diventata arte, al 100%, ho escluso tutto il resto».

Per quanto tempo hai lavorato solo come street artist? E come organizzavi la tua attività allora?

«Ho fatto tutto illegalmente per sei o sette anni pieni. La mia routine era svegliarmi alle tre di notte e lavorare fino all’alba, per le strade di Londra: l’ho fatto per almeno cinque anni, tre o quattro sere alla settimana».

Come ti guadagnavi da vivere?

«Lavoravo nei bar e da free-lance, mai impieghi stabili. Avevo bisogno di libertà e di ciò che bastava per pagare le spese. L’arte è sempre venuta prima».

Com’è nata la collaborazione con i brand della moda?

«Con l’icona di Karl Lagerfeld, di cui ho tappezzato Londra e in parte anche Amsterdam, dove c’è la loro sede principale. Il suo team ha visto il mio lavoro, lo ha mostrato a Karl (pochi mesi prima che lui morisse) e poi mi hanno contattato. È iniziata così».

È stato un caso o te lo aspettavi?

«Come artista tu osservi ciò che capita nel mondo e pensi che niente sia impossibile, altrimenti non saresti un artista. All’inizio non immaginavo niente del genere, ma sapevo che se ce l’avessi messa tutta qualcosa sarebbe successo. Solo, non sapevo che cosa».

Gilbert & George: come li hai conosciuti?

«Come Karl Lagerfeld. Hanno visto un mio lavoro (Crotch grab) dietro l’angolo di casa loro».

Sapevi che abitavano lì?

«No, non lo sapevo. Però ho poi saputo che l’hanno fotografato e usato in un’opera per una grande mostra a Singapore, Utopian pictures, nel 2015. Quando qualcuno mi ha mostrato il catalogo, li ho contattati per dire che ero l’autore del lavoro e che sarebbe stato bello incontrarci. Così siamo diventati amici. Ogni tanto andiamo fuori a pranzo. Sono una grande fonte d’ispirazione per me, soprattutto per il modo in cui hanno strutturato la loro vita intorno all’arte».

Raccontaci del tuo ingresso agli Uffizi.

«Quando mi hanno chiamato per dire che un mio lavoro sarebbe stato incluso nella collezione, non riuscivo a capire come potesse armonizzarsi con quel patrimonio storico. Tieni presente che quando sei un artista possono farti mille proposte... ma è meglio non esultare finché non si realizzano perché tutto può andare storto (ride). Quando abbiamo effettivamente consegnato l’opera, allora ho messo a fuoco che sarebbe diventata parte della cultura, della storia. Rappresenta la mia amicizia con Gilbert & George, ma anche il mio lavoro, e la Street art, e forse il momento storico in cui Street art, linguaggi contemporanei e belle arti diventano una cosa sola».

Autoritratto, Endless
Uffizi
Autoritratto, Endless

L’epoca delle “etichette” è finita?

«Le persone si sentono rassicurate dalle etichette. Per quanto mi riguarda, io mi considero solo una persona che crea, non importa cosa né in quale direzione. Mi interessa che il lavoro venga visto, questo sì: non avrebbe senso fare arte e non mostrarla. Per questo usi la strada: è come quando sei piccolo e appendi i disegni al frigo, perché vuoi che la tua famiglia li veda, vuoi una reazione. Quando il tuo lavoro entra in un grande museo, allora il numero di persone che lo vedranno aumenta, e questo è lo scopo del gioco».

Il rapporto tra arte, moda, pubblicità: come artista, vedi una differenza tra l’una e le altre? E chi ha bisogno di chi?

«Un tempo moda, arte e pubblicità erano entità separate, ora non più. Con Internet e i social media ci siamo abituati a vedere tutto insieme. L’arte è libertà e gli artisti si esprimono sempre liberamente, ma senza dubbio influenzano sia la moda che la pubblicità, che dal canto loro amano attingere dall’arte, la vedono come l’avanguardia del nuovo. Però, siccome ora è tutto mischiato, an- che la moda e la pubblicità sono arte. Pensa a quante persone con una formazione artistica lavorano in questi ambiti... e va bene, ognuno può fare ciò che vuole. Non ci sono giusto e sbagliato».

Ora lavori sia in strada che in studio: che cosa cambia nel passaggio dal muro alla tela?

«Non molto. La tela è di dimensioni fisse mentre in strada puoi scegliere la parete che vuoi, ma i limiti ci sono sempre, ovunque tu sia. Al lavoro su tela sono abituato fin dall’università: so come si fa, mi viene naturale. Calcola poi che per il lavoro in strada serve solo la “messa in opera”, da completare in pochi minuti: tutto è preparato prima in studio, anche la Street art».

Come scegli soggetto e numero dei dipinti?

«In genere faccio semplicemente ciò che mi sento di fare, ma dei pezzi più iconici, come la regina (Lizzy Vuitton) o le bottiglie Chapel, ho creato più versioni. Ogni singolo dipinto però è diverso».

Produci solo pezzi unici?

«Sì, sempre pezzi unici. Di recente abbiamo fatto delle stampe in edizione limitata. Ma nelle tele, anche se il soggetto è lo stesso, cambiano colori, sfondo, forme, dettagli. Provo sempre qualcosa di nuovo».

Hai degli assistenti?

«Solo uno, che si occupa della parte amministrativa, mentre io faccio tutto il resto. Sarebbe strano se lo facesse qualcun altro. So che certi artisti hanno grandi produzioni e centinaia di assistenti, ma altri, come me, sono una persona sola».

Una tua versione di Karl Lagerfeld è diventata un NFT: che cosa pensi della criptoarte?

«L’NFT è stato creato dal team di Karl Lagerfeld, che voleva collaborare con un artista per creare un nuovo prodotto da vendere. Per me è stata una bella opportunità partecipare e vedere che cosa ne sarebbe uscito fuori. Per quanto ne so (non molto), gli NFT sono più o meno come le opere d’arte reali ma in versione digitale. Ciò di cui si parla tanto, al momento, è la proprietà, il fatto di poter possedere un oggetto digitale così come un dipinto».

È un ambito che ti attrae dal punto di vista creativo?

«Sì. I miei lavori nascono sempre dal digitale, e mi piace l’arte digitale, le possibilità che offre sono infinite. Inoltre, porta con sé un intero nuovo pubblico. Non credo ci sia niente di male in tutto ciò. Del resto, quando un fenomeno non piace, o non viene capito, in genere vuol dire soltanto che è la prossima tendenza, perché abbiamo sempre bisogno di odiare qualcosa, prima di amarla».

Questo approfondimento è tratto dal n.582 di Arte. La rivista di arte, cultura e informazione è acquistabile in edicola o qui.