Marina Abramović nella sua performance ala MOMA di New York
Credits: Rory su Flickr

Marina Abramović

di Eugenio Viola

Vita e arte della regina della performance

Alla Royal Academy di Londra foto, video e installazioni raccontano l'arte e la vita di una delle artiste più importanti del XX° e XXI° secolo.

 

Marina Abramović (Belgrado,1946) è la decana di tutte le forme d’espressività legate al corpo e da esso derivanti, dotata di una capacità non comune di rinnovare continuamente se stessa e contestualmente la propria opera. Appartiene pertanto a quella generazione di artisti che ha definito ambiti e territori della performance, determinandone gli esiti e forzandone finanche i limiti. Oggi Abramović non è considerata soltanto una delle artiste più importanti del nostro tempo, ma è anche tra le più amate dal grande pubblico.

La prima retrospettiva di una artista donna alla Royal Academy

Oltre cinque decadi di carriera sono ricostruite attraverso una selezione di fotografie, video, installazioni, sculture, oggetti e re-performance di alcune delle sue azioni più emblematiche, come già in occasione di The artist is present (2010), la sua poderosa retrospettiva al Moma di New York.

Dai primi anni Duemila, Abramović ha sviluppato una teoria e una pratica della “ricreazione”, volta alla ri-esecuzione di performance passate, sia proprie che di altri artisti. Sua intenzione è incrementare una nuova forma di fruizione, che possa consentire a spettatori di generazioni differenti di sperimentare fenomenologicamente performance agite nel passato. Per questo, artisti più giovani sono chiamati a rimettere in scena, nel contesto della sua retrospettiva, alcune tra le sue performance “storiche” più rappresentative.

Rythm 0, la performance di Marina Abramović a Napoli

Tutte le fasi della sua ricerca sono ben rappresentate, a partire dalle performance radicali, risalenti alla prima metà degli anni Settanta, in cui l’artista spinge all’estremo i propri limiti fisici e psicologici. Ad esempio, nella celebre Rhythm 0 (Studio Morra, Napoli, 1975), azione di 6 ore in cui, immobile, accanto a un tavolo su cui sono esposti 72 oggetti – alcuni innocui, altri pericolosi – si offre al pubblico cedendogli i pieni poteri su se stessa.

Alcuni degli oggetti usati per la performance Rythm 0
Marc Wathieu su Flickr
Alcuni degli oggetti usati per la performance Rythm 0

Imponderabilia, la performance di Marina Abramović e Ulay nudi a Bologna

Grande risalto è dato al lungo sodalizio con Ulay (Frank Uwe Laysiepen, 1943-2020), sintesi luminosa di coincidenza fra arte e vita, di fusione simbiotica d’intenti, che resta, a tutt’oggi, un caso isolato nella storia delle arti performative: ad esempio, in Imponderabilia (Galleria d’arte moderna, Bologna, 1977) vediamo entrambi in piedi, nudi, ai lati della stretta porta d’ingresso dell’istituzione, obbligando chi vuole entrare a strusciare tra i loro corpi.

Marina Abramović e Ulay: Imponderabilia, Galleria d’arte moderna, Bologna, 1977
BIP - Biennale de l'Image Possible su Flickr
Marina Abramović e Ulay: Imponderabilia, Galleria d’arte moderna, Bologna, 1977

Il doloroso riattraversamento dei miti e dei drammi balcanici è al centro del formidabile Balkan Baroque (1997), performance di grande impatto visivo ed emotivo che vale all’artista il Leone d’Oro alla 47a Biennale di Venezia: Abramović di bianco vestita raschia e pulisce per molte ore al giorno un cumulo di ossa di animali. Un lavoro che cortocircuita etica ed estetica insinuandosi nel vissuto dell’artista-sacerdotessa, intenta a officiare una sorta di rituale catartico contro la mattanza della guerra nei Balcani.

 

Nel più ieratico The hero (2001), Abramovic’, in sella a un caval- lo bianco, osserva l’orizzonte lontano, brandendo una bandiera bianca agitata dal vento. In sottofondo, una voce femminile canta l’inno nazionale della Jugoslavia. È questa una delle opere più personali e autobiografiche, dedicata al padre, eroe nazionale della Seconda guerra mondiale. Imperturbabilità e resistenza sono due qualità che caratterizzano gran parte del suo lavoro, da The hero, a Rhythm 0 a The artist is present (2010), estenuante atto performativo diluito per l’intera durata della sua retrospettiva newyorkese, in cui l’artista siede in silenzio a un tavolo durante gli orari di apertura del museo, invitando i visitatori con lo sguardo a prendere posto, uno alla volta, per tutto il tempo che desiderano, di fronte a lei che, impassibile, non risponde. È la partecipazione dei visitatori a completare l’opera, a ribadire il senso di questa presenza fissa, costante, indefessa.

Il passaggio a una dimensione più meditativa scandisce l’inizio del nuovo millennio, volto alla ricerca, instancabile, di un’espansione “energetica” della percezione. In Nude with skeleton, 2005, uno scheletro giace supino sull’artista, nuda. Sono quasi perfettamente allineati. Il respiro di Abramović è accentuato e amplificato. L’artista evoca un esercizio tradizionale dei monaci tibetani che dormono accanto a persone morte in vari stati di decomposizione, per acquisire comprensione ed empatia con questo processo di naturale decadimento organico. The house with the ocean view (2002) è una performance di 12 giorni originariamente agita alla Sean Kelly Gallery di New York, in cui l’artista resta in isolamento, in silenzio e a digiuno per dodici giorni di fila sotto gli occhi del pubblico-voyeur che può vederla dormire, meditare, fare la doccia o usare il bagno all’interno di tre ambienti sopraelevati, congiunti a terra da scale i cui pioli sono sostituiti da coltelli con le lame rivolte verso l’alto. In The current, 2017, l’artista è sdraiata all’aperto su un letto di metallo, stagliata su un cielo che minaccia tempesta. Metaforicamente, il suo corpo diventa un trasmettitore di energia.

Questo approfondimento è tratto dal n. 603 di Arte. La rivista di arte, cultura e informazione è acquistabile in edicola o sul sito di Cairo Editore.

Cover Arte novembre 2023
Cairo Editore
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