Stiamo bene negli acquitrini, opera di Giuliana Rosso, vincitrice del 22° Premio Cairo

Giuliana Rosso: l'intervista

di Michele Bonuomo

La vincitrice del 22° Prmeio Cairo si racconta

Ha trentun anni, si è formata all’Accademia di Belle arti di Torino, è tra gli emergenti più significativi di una nuova realtà dell’arte contemporanea italiana che promette grandi sorprese. Tra i tanti numi tutelari del suo pantheon segreto ci sono Pino Pascali, Otto Dix, Remedios Varo, Simone Martini, Hannah Höch, Jan Švankmajer. Con Stiamo bene negli acquitrini, un dipinto su carta di grandi dimensioni realizzato con carboncini e gessetti colorati, Giuliana Rosso ha vinto la 22a edizione del Premio Cairo. Un’opera che nella motivazione della giuria, presieduta in quest’occasione da Emilio Isgrò, «rappresenta l’inquietudine e l’indeterminatezza dell’adolescenza in un paesaggio tossico che evoca l’urgenza della questione ambientale e il disagio di una comune solitudine».

Un universo parallelo, popolato da presenze inquiete e indeterminate, è al centro dell’opera con cui l’artista piemontese ha vinto la 22a edizione del Premio Cairo: ecco l'intervista a Giuliana Rosso fatta dal direttore del Magazine Arte, Michele Bonuomo.

Quanto c’è di simbolico e quanto di reale nelle figure di adolescenti che popolano i suoi lavori?

«Il tema dell’adolescenza ha in generale una valenza sia simbolica che reale, ma preferisco maggiormente che si colga quanto c’è di simbolicità e di universalismo in questa dimensione. La figura del teenager non rappresenta quel dato reale di età, ma un emblema estensibile anche a una persona adulta».

Incertezza e indefinitezza caratterizzano per tanti versi il nostro tempo e appartengono ad ogni età.

«Nella situazione attuale siamo sempre messi di fronte a un futuro incerto e a possibilità che all’apparenza sono molto ampie. Uno stato, dunque, che può portare a una sensazione di ansia e di confusione, ma anche a prospettive di libertà. Poi penso anche che incertezza e indefinitezza contribuiscano a definire, o a non definire, la propria identità, in un rapporto tra esteriorità e interiorità, relazione e solitudine da rimettere continuamente in discussione lungo tutto l’arco dell’esistenza».

Nelle sue opere si agitano contrapposizioni stridenti, presenze inquiete e atmosfere favolistiche, luci radiose e squarci cupi, sogno e realtà, quest’ultima quasi mai rassicurante...

«Sì, in genere i miei lavori vengono letti così. A dire il vero mi piace l’ironia e giocare sull’equivoco e la coesistenza di aspetti divertenti e al contempo inquietanti o anche traumatici. L’ironia è in superficie, quasi un coraggioso sforzo di un’ingenuità ritrovata, motivo per cui utilizzo toni intensi e cangianti e spero divertenti, ma anche toni scuri e grigi che per me rappresentano la pesantezza e una situazione di stasi o anche di mistero».

Nel suo lavoro è forte la suggestione narrativa, accentuata già nei titoli delle opere.

«Mi piace lavorare sull’aspetto narrativo e spesso utilizzo il titolo non tanto per anticipare i contenuti del lavoro, ma per creare un altro piano di lettura: il titolo fornisce indizi. Nel lavoro con cui ho partecipato al Premio Cairo, Stiamo bene negli acquitrini è appunto un titolo che allude a un’idea di natura intesa come luogo di transitorietà, ma anche di identità e di abbandono di questa, il tutto in una condizione di dissolvenza tra mondo interiore e mondo esteriore, senso di moltitudine e di estraniazione. E di solitudine».

Che cosa stanno facendo le tre ragazze nell’acquitrino?

«Stanno ricercando calore e compagnia nei propri dispositivi e “protesi” tecnologici. Ascoltano la musica in cuffie di cristallo e una di loro è abbracciata a un paio di gambe finte a cui attribuisce una sua proiezione sentimentale. Un’altra è al riparo dentro a un tronco e guarda il suo smartphone. Mentre realizzavo il lavoro pensavo a certi dettagli di scene dipinte da Pieter Bruegel Il Vecchio, soprattutto a quelli presenti nel Paese della cuccagna, una sorta di utopia umana della pigrizia e di un’abbondanza senza limiti della natura. Oppure pensavo al film Picnic at Hanging Rock di Peter Weir, dove la natura è un luogo di mistero e di oblio. Le ragazze presenti nel mio lavoro le ho immaginate come protese, nel loro essere statiche, verso una specie di mistero in cui perdersi, fatto di mosconi che ronzano, di un pesce rosso che ha voglia di conoscere usi e paesaggi del mondo terrestre visto dalla sua minicapsula acquatica, di accarezzare un rospo viscido, ma dallo sguardo umano e di cercare pace nella musica che si cristallizza nei timpani. Per non sentire il nauseante odore della palude».

Quanto è importante nel suo lavoro l’idea di tempo e di spazio?

«Mi interessa raccontare azioni che si svolgono in uno spazio tridimensionale e in un certo lasso di tempo sospeso, in cui un susseguirsi lineare di eventi sembra essere svanito e subentra l’inattività, la stagnazione, ma anche uno stato di attesa e di eventualità in un flusso continuo che si protrae all’infinito».

Giuliana Rosso e Urbano Cairo di fronte all'opera vincitrice della 22° edizione
Massi Ninni per Cairo Editore
Giuliana Rosso e Urbano Cairo di fronte all'opera vincitrice della 22° edizione

Quello che lei mette in forma nei lavori è una sorta di universo parallelo, in cui anche le scelte strettamente espressive (i materiali, le tecniche, il linguaggio, ecc.) ne dichiarano l’esistenza.

«Mi interessa indagare il superamento della bidimensionalità e dell’idea di perimetro. Lavoro quindi su processi di sovrapposizioni, sui rapporti dell’opera con lo spazio, sui rimandi tra elementi della stesso lavoro o tra altri diversi, in un dialogo che conduca a una sorta di realtà aumentata, realizzata però con un supporto che è lontano da quello tecnologico. Pittura, carta, disegno, scultura, oggetti li lascio evolvere e li seguo verso una dimensione fluida, più emotiva, sperando anche che possano avvicinare chi guarda a piani diversi di lettura. Da questo punto di vista è molto calzante la definizione di universo parallelo».

Che rapporto ha con i linguaggi delle nuove tecnologie e con nuovi sistemi di comunicazione (Instagram e dintorni, per esempio...)?

«Utilizzo la tecnologia come via di fuga e di ricerca di vuoto. Le persone spesso sorridono davanti ai loro smartphone apparentemente senza un motivo, come a voler precludere un segreto a chi gli sta vicino. Questi linguaggi e strumenti personalmente li percepisco come oggetti vivi. In fondo sono stati creati con questo scopo e hanno raggiunto il loro intento: spesso in senso inquietante, ma anche in quello “amichevole”. A volte ci si immagina che qualcuno stia inviando messaggi ad amici mentre sorride o si incanta davanti allo schermo, invece ci sono solo il vuoto e la ripetizione. Anche a me succede di immergermi in questo flusso di “perversione” dell’immagine, di significati nascosti, di simbologie vecchie unite a quelle più nuove, di gesti in loop. Penso che la nostra conformazione mentale stia cambiando. Comunque non è per tutti così: c’è chi è più sensibile a queste trasformazioni, chi un po’ meno. Io mi sforzo di dialogare con questa realtà».

L’iperproduzione di immagini e il consumo bulimico che oggi se ne fa non rischiano di azzerare la memoria (non solo quella dell’arte)?

«Le immagini sono un linguaggio immediato molto potente che penso aiuti ad avvicinare all’arte persone spesso estranee ad essa e, allo stesso tempo, servono a restituire un forte potere e un ruolo all’immagine in sé. Il flusso di immagini certamente crea dipendenza, un vago stordimento e pensieri iniziati e lasciati in sospeso, spesso per distrazione. Penso più a una saturazione che a una cancellazione della memoria».

Che rapporto ha lei con la storia?

«Non cerco un’ispirazione diretta da essa, ma la rispetto. Non ho un rapporto direttissimo, però vorrei che nei miei lavori si percepisse la presenza di un’iconografia già vista. Mi piace guardare sia le immagini dell’arte consegnate alla storia che i meme che passano vorticosamente sui social».

Questo approfondimento è tratto dal n. 604 di Arte. La rivista di arte, cultura e informazione è acquistabile in edicola o sul sito di Cairo Editore

Cover Arte dicembre 2023
Cairo Editore
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