Una delle opere di Alberto Burri in mostra al MAR, Ravenna
Credits: MAR museo Ravenna su Instagram

Burri e i mosaici bizantini

di Marco Tonelli

La mostra al MAR di Ravenna

Al MAR, il Museo d’arte della città di Ravenna una mostra imperdibile racconta il rapporto tra il Grande Maestro e l'arte bizantina, nello specifico i famosi mosaici dorati, simbolo della città.

Una delle opere di Alberto Burri in mostra al MAR, Ravenna
MAR museo Ravenna su Instagram
Una delle opere di Alberto Burri in mostra al MAR, Ravenna
Una mostra di Burri a Ravenna: perché?

Alberto Burri (Città di Castello, 1915 – Nizza, 1995) nel 1988 tenne a Ravenna una mostra personale dal titolo Neri a S. Vitale, allestita nel refettorio dell’omonimo complesso di San Vitale: fu in quella circostanza che gli venne occasionata (o ispirata) la serie Il nero e l’oro del 1991-1992, composta nella sua articolazione finale di dieci elementi. Inizialmente, su commissione dell’industriale ravennate Raul Gardini e del gruppo Ferruzzi, doveva essere intitolata Bisanzio e ispirarsi non solo al nero e all’oro dei mosaici ravennati, ma anche alla loro composizione a tessere e riquadri, utilizzando direttamente foglie d’oro, tutti elementi poi riconvertiti nell’elaborazione definitiva visibile oggi a Città di Castello presso la Fondazione Burri.

 

A partire da quella commissione mancata, dal 14 ottobre al 14 gennaio, al MAR, Museo d’arte della città di Ravenna, una mostra celebra attraverso cento opere l’artista, la sua grafica e il suo rapporto con la città italiana, “capitale” dell’arte bizantina e del mosaico.

Potremmo dunque dire che tutto iniziò dalla chiesa di San Vitale a Ravenna e, chissà, forse proprio da una visita a quegli spazi per certi versi austeri, ma riccamente decorati di mosaici, che ritraggono l’imperatore Giustiniano e l’imperatrice Teodora durante una vera e propria processione accompagnati dal vescovo Massimiano, dignitari di corte, guardie d’onore e dame al seguito. Lo spazio culminante di questa architettura, l’abside, si presenta incurvato e scandito da una rigogliosa decorazione musiva in tre archi ideali.

Il Grande Ferro R
Wikimedia Commons
Il Grande Ferro R
Burri, Ravenna e i materiali poveri

Le opere di Burri a Ravenna

Alberto Burri nel 1984 aveva già realizzato e presentato alla Biennale di Venezia il monumentale Teatro scultura, composto di una progressione scenografica di grandi arcate continue e prospettiche, mentre nel 1990 realizzerà per la città di Ravenna e la piazza del Palazzo delle arti e dello sport Mauro De André (dove ancora oggi è possibile ammirarla accanto all’edificio commemorativo del Danteum di Giuseppe Terragni) un’altra scultura ambientale, anch’essa dipinta di rosso minio, ovvero il Grande ferro R, in cui gli archi continui, angolati e meccanici evocano le dita di due grandi mani, delle tenaglie o la carena di una nave, allusione al porto della città.

Ravenna fu quindi fonte di importanti stimoli per il grande artista umbro, capace di ispirargli più di un’opera e di fissare gli estremi della sua pittura tra un non colore, il nero, da lui molto utilizzato, e il non colore della materia più preziosa al mondo, anche per le sue metafore spirituali, come l’oro.

I materiali: fondamentali per l'opera di Burri

Negli ex Seccatoi di Città di Castello, che per certi versi possiamo definire la più che legittima autocelebrativa cattedrale di Burri, si può ammirare oggi, inamovibile, la serie Il nero e l’oro, ab origine schiettamente bizantina e ieratica, collocata di fronte al grande ciclo Metamorfotex per volontà dello stesso Burri, quasi ricostruendo idealmente la processione di Giustiniano e Teodora. Evocazione ed eco dell’arte antica, in un artista tra i più audaci e moderni della sua e della nostra epoca, ma anche dei più ostinatamente attaccati alla forma, allo spazio, alla composizione, alla sezione aurea per certi versi, pur attraverso materiali non propriamente nobili: sacchi di juta usati e ricuciti, plastiche bruciate, legni combusti, lamiere di nudo ferro industriale, cretti di vinavil e caolino o fogli isolanti di legno e colla pressati, come i Cellotex che ne hanno caratterizzato lo stile ultimo. Una drammatica ossessione per i materiali (ma anche felice ed equilibrata dal punto di vista estetico), che porterà Burri a produrre eccezionali serie grafiche, eccezionali non solo perché in grado di trasmettere lo stesso senso dello spazio e del fare eroico, in grande, dei monumentali cicli pittorici, ma anche perché capaci di riprodurre la stessa identica resa tattile, sensoriale e materica di quei Catrami, di quei Cretti, di quei Cellotex. Quasi come una reliquia, un frammento di storia antica, spicca il prezioso (perché contiene anche foglia d’oro) libro d’artista realizzato per il componimento del primo esegeta interprete di Burri, Emilio Villa, ovvero le 17 Variazioni su temi proposti per una pura ideologia fonetica del 1955-1956, con interventi autografi in una edizione della 2RC di Roma tirata in pochi esemplari.

Per chi poi volesse documentarsi sull’attività grafica di Burri, oltre a questa mostra che espone peraltro alcune delle opere che valsero all’artista il Premio nazionale dei Lincei per l’opera grafica nel 1973, presso gli Ex Seccatoi del Tabacco di Città di Castello è conservata anche una sezione contenente, dal 2017, tutta la sua produzione grafica.

Una delle opere di Alberto Burri in mostra al MAR, Ravenna
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Una delle opere di Alberto Burri in mostra al MAR, Ravenna
I "mosaici" di Burri

La mostra al MAR di Ravenna, a cura di Bruno Corà, che della Fondazione Burri di Città di Castello è presidente dal 2013, diventa così un omaggio al rapporto dell’artista con una delle più nobili città d’arte italiane, ma anche al suo saper fare universale, al suo saper progettare, pur intuitivamente, ogni opera come fosse l’ultima (o se vogliamo la prima), ben comprendendo che non sarebbe mai stata quella decisiva, da ineguagliabile e coraggioso sperimentatore quale è stato fino alla fine della sua vita. Seppure Burri non abbia mai realizzato mosaici (e Ravenna è la città del mosaico), semmai alcune strabilianti ceramiche crettate come quella dal titolo Nero e oro del 1993, oggi al Museo internazionale della ceramica di Faenza, o quella del 1976 conservata presso il Franklin D. Murphy sculpture garden della University of California a Los Angeles (5x15 metri) o quella del 1978 nel Museo di Capodimonte di Napoli (5x15 metri), inventò di fatto un suo modo per comporre pitture assemblando o disfacendo, a mo’ di collage, materie grezze al posto di più antiquate e tradizionali tessere musive. Segno che non sono semplicemente la tecnica, i materiali o il supporto a definire il processo artistico, ma l’idea che ne è alla base: e nel suo caso questa idea fu veramente quella di un grande Maestro.

Una delle opere di Alberto Burri in mostra al MAR, Ravenna
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Una delle opere di Alberto Burri in mostra al MAR, Ravenna
Mostra di Burri a Ravenna: le info

BURRI RAVENNA ORO
Ravenna, Museo d’arte della città, Mar (tel. 0544-482477).
Dal 14 ottobre al 14 gennaio 2024.

 

Questo approfondimento è tratto dal n. 602 di Arte. La rivista di arte, cultura e informazione è acquistabile in edicola o sul sito di Cairo Editore.

Cover Arte ottobre 2023
Cairo Editore
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