La bolla degli NFT
Ascesa e declino della cryptoarte
La bolla degli NFT è scoppiata mandando in frantumi sogni di gloria e guadagni milionari con ribassi di oltre il 90%. Un crollo epocale.
In base all’indagine di Artprice, piattaforma che rappresenta un riferimento essenziale per il mercato, il fatturato complessivo dei Non Fungible Token in asta è passato dai 232 milioni di dollari nel 2021 a 13 milioni di dollari. I numeri sono impietosi: secondo il Wall Street Journal gli 1,9 miliardi di dollari totalizzati nel 2021 sono diventati a distanza di dodici mesi 205 milioni. Sembra un secolo, eppure non sono passati nemmeno due anni dall’11 marzo 2021, quando Mike Winkelmann, in arte Beeple, anonimo pubblicitario americano, ha scatenato la febbre dell’oro vendendo da Christie’s Everydays: the First 5000 Days (un collage in formato jpeg) per 69,3 milioni di dollari, terzo prezzo più alto di sempre per un artista vivente dopo Jeff Koons e David Hockney. La particolarità di quell’opera non sta tanto nella banalità dei suoi contenuti (il suo prezzo di partenza era di 100 dollari) quanto nella tecnologia, un bene crittografico a cui vengono riconosciuti unicità e autenticità. NFT, insomma, termine assai più seducente della definizione burocratica di certificato digitale a cui corrisponde. «Sono proprietario di un’opera che ha fatto la storia, destinata a valere presto un miliardo», aveva dichiarato raggiante Vignesh Sundaresan, tycoon indiano proprietario di Metapurse, il più importante fondo specializzato in arte digitale, dopo essersi aggiudicato l’opera (con pagamento in ethereum).
L’effetto Beeple ha dato fuoco alle polveri e per poco meno di un anno criptogattini, scimmiette annoiate, koala intelligenti, indiani metropolitani o punk demodé sono stati scambiati a cifre milionarie sulle piattaforme specializzate e nelle vendite all’asta, dove in molti hanno gridato al miracolo convinti di aver individuato l’arte del futuro. A scatenare l’euforia è stato un armamentario fondamentalmente vintage con un’iconografia che fa riferimento all’immaginario dei videogiochi e delle animazioni televisive, dai Pokémon ai Minions, con la peculiarità di essere garantiti dalla tecnologia blockchain (letteralmente catena di blocchi) che rende il bene unico, rintracciabile e verificabile, caratteristiche che in precedenza l’arte digitale non aveva. Una novità cavalcata con abilità dalla speculazione e da un marketing sofisticato (star come Paris Hilton, Justin Bieber, Gwyneth Paltrow sono state pagate in maniera occulta per pubblicizzare gli NFT) che nulla c’entra con l’innovazione estetica.
Ma è stata proprio la facilità di veicolare un prodotto seriale, comprensibile a tutti, ad aver provocato effetti dirompenti attirando i millennials e i fondi d’investimento che avevano fatto fortuna con le criptovalute difficilmente spendibili in altri settori. In poco tempo si è assistito a una serie di aggiudicazioni sorprendenti e il 9 settembre 2021 in un’asta online di Sotheby’s 101 Bored ape yacht club, un insieme di 101 scimmiette create dalla società Yuga Labs, ha cambiato proprietario per 24,9 milioni di dollari e il 26 ottobre sempre da Sotheby’s una sola scimmietta con il fischietto in bocca e il cappellino a forma di elica ha fatto fermare il martello del banditore a 3,4 milioni di dollari. Stesso copione per i Cryptopunks creati quasi per gioco da Larva Labs, l’azienda dei due informatici canadesi John Watkinson e Matt Hall, che nel 2017 li distribuiva gratuitamente a chi apriva un conto in ethereum. Ebbene, l’11 maggio 2021 da Christie’s a New York 9 Cryptopunks ha cambiato proprietario per 16,9 milioni di dollari e un mese dopo da Sotheby’s a New York un solo Cryptopunk si è imposto per 11,7 milioni di dollari.
Ma che la pacchia stesse per finire è apparso evidente il 23 febbraio 2022 quando Sotheby’s a New York è stata costretta a ritirare pochi istanti prima dell’asta una collezione di 104 Cryptopunks, valutata 20/30 milioni di dollari, per assenza di compratori. Da lì è iniziata la disfatta, con gli NFT che sono scesi a rotta di collo e ciò che pochi mesi prima veniva scambiato a cifre iperboliche non trovava più alcun compratore, ricordando la bolla dei tulipani nell’Olanda del Seicento.
Un Meebit (serie di personaggi dove s’incrociano lego e pixel prodotti da Larva Labs) che veniva scambiato a 500mila euro, in una vendita parigina organizzata il 10 marzo 2022 dalla casa d’asta Fauve non è andato oltre i 10mila euro; nonostante i ribassi l’11 novembre 2022 l’asta online di Sotheby’s è riuscita a inanellare ben cinque invenduti tra le scimmiette che facevano faville, non trovando nessuno disposto a intervenire nemmeno a 80mila euro rispetto a un listino dove sino a qualche tempo prima comparivano a 600mila euro.
Un tracollo generalizzato che ha coinvolto anche gli Hackatao, il duo artistico italiano più famoso, nato dalla collaborazione tra Sergio Scalet e Nadia Squarci. Dopo aver toccato il 26 ottobre 2021 i 500mila dollari da Sotheby’s, il 3 dicembre 2022 un file digitale della serie Queens and Kings è rimasto invenduto a 500 euro durante la vendita di Lempertz a Colonia. Insomma, nel 2022 il mercato dell’arte è stato coinvolto da quello che si potrebbe definire come il più clamoroso flop finanziario della sua storia. Le cause sono molte. In primo luogo aver confuso il mezzo con il fine scambiando un sofisticato sistema tecnologico con un movimento artistico.
Un altro equivoco è stato il legame indissolubile tra gli NFT e l’andamento delle criptovalute, che prima della Caporetto (nel 2022 hanno perso quasi due terzi del loro valore e il fallimento di Ftx, la piattaforma di criptovalute, ha coinvolto oltre un milione d’investitori) avevano raggiunto i massimi nel novembre 2021, facilitando gli scambi a chi era intervenuto sul mercato alla fine del 2020, quando i valori delle cripto erano infinitamente più bassi: «Gli NFT venivano acquistati con i soldi del Monopoli e appariva quanto mai agevole speculare quando la cifra spesa in partenza era insignificante», spiega Giacomo Nicolella Maschietti, specializzato nel mercato dell’arte digitale. Non va poi dimenticato che gli NFT hanno promesso l’unicità rispetto a un sistema che, attraverso algoritmi generativi, ha prodotto un numero infinito di opere: solo i Cryptopunks sono 10mila. Piuttosto problematico anche un altro caposaldo come la provenienza, se si considera che gran parte degli acquirenti opera in anonimato o con nomi di fantasia.
Anche il mito della disintermediazione ha dimostrato tutti i suoi limiti. Da un lato il sistema ha immediatamente preso le contromisure (Christie’s e Sotheby’s hanno realizzato le loro piattaforme) e dall’altra l’apparente libertà di agire si è rivelato un boomerang dal momento che è mancata qualsiasi forma di garanzia e hackerare i portafogli virtuali facendo sparire il bottino si è dimostrato assai più semplice del previsto. Si è schiantata in breve tempo anche l’utopia che tutti potessero diventare artisti, dai programmatori ai grafici sino ai game designer. I follower comunque possono stare certi che gli NFT non spariranno anche tenendo conto delle loro infinite applicazioni. Ma l’illusione di diventare milionari con un solo click è finita per sempre.
«Tutti quanti in fondo vogliamo sentirci raccontare bugie: ci piacciono le favole e i sogni», afferma Jake Moore in Wall Street. Il denaro non dorme mai. E gli NFT sono stati un sogno per pochi e un incubo per molti.
Questo approfondimento è tratto dal n. 594 di Arte. La rivista di arte, cultura e informazione è acquistabile in edicola o qui.