Ugo Mulas. Il laboratorio Una mano sviluppa l’altra fissa A Sir John Frederick William Herschel 1970 - 1972 © Eredi Ugo Mulas. Tutti i diritti riservati.
Credits: Courtesy Archivio Ugo Mulas, Milano – Galleria Lia Rumma, Milano / Napoli

Ugo Mulas a Venezia

di Manuela Brevi

Alle Stanze della Fotografia sul fotografo degli artisti

Per anni lo abbiamo conosciuto come il fotografo degli artisti: sono suoi alcuni dei ritratti più iconici di un’intera generazione di pittori e scultori, da Duchamp a Lucio Fontana, da Alexander Calder ai celebri esponenti della Pop art americana. Ma Ugo Mulas (1928-1973) è stato molto di più. «Era tanti fotografi in uno», racconta Alberto Salvadori, direttore del suo archivio. «Non solo era uno straordinario ritrattista, ma era anche uno straordinario fotografo di città e di contesti urbani, come dimostrano gli scatti su Milano agli esordi della carriera, oppure quelli su Venezia, città che ha amato in maniera viscerale e che ha ritratto ininterrottamente nel corso degli anni».
E poi Mulas è anche il fotografo del reportage, «quando in quattro scatti crea il ritratto di una nazione come la Germania del Secondo dopoguerra». È il fotografo del teatro, con una lunga collaborazione con Giorgio Strehler, della moda, dell’industria. «Ed è anche un fotografo concettuale», continua Salvadori, perché nella sua ultima serie intitolata Le verifiche «fa un’operazione metafotografica, va oltre la fotografia intesa come riproduzione di ciò che si vede».

Ugo Mulas. Joan Mirò Museo Poldi Pezzoli Milano 1963 © Eredi Ugo Mulas. Tutti i diritti riservati.
Courtesy Archivio Ugo Mulas, Milano – Galleria Lia Rumma, Milano / Napoli
Ugo Mulas. Joan Mirò Museo Poldi Pezzoli Milano 1963 © Eredi Ugo Mulas. Tutti i diritti riservati.

A 50 anni dalla prematura scomparsa l’occasione per rileggere l’intera opera di questo “fotografo totale”, come lo ha definito Germano Celant, ce la offre la grande antologica Ugo Mulas. L’operazione fotografica, che lo scorso 29 marzo ha inaugurato il nuovo centro espositivo Le Stanze della Fotografia, aperto nelle sale del Convitto della Fondazione Cini, sull’Isola di San Giorgio Maggiore a Venezia. Nata grazie a un’iniziativa congiunta di Fondazione Giorgio Cini e Marsilio Arte, la nuova sede – che fino al 4 giugno al primo piano ospita anche la mostra di Alessandra Chemollo Venezia alter mundus – si propone infatti di continuare il percorso sulla fotografia iniziato nel 2012 con una serie di esposizioni alla Casa dei Tre Oci, lo storico palazzo neogotico sull’Isola della Giudecca venduto un anno fa al magnate Nicolas Berggruen. E come mostra inaugurale di questo ambizioso progetto, racconta Denis Curti, direttore artistico delle Stanze e curatore dell’antologica insieme ad Alberto Salvadori, «abbiamo voluto proporre questo progetto su Ugo Mulas per affermare un interesse nei confronti di una fotografia italiana che deve ancora essere studiata e al contempo valorizzata».

Ugo Mulas Eugenio Montale 1970 © Eredi Ugo Mulas Tutti i diritti riservati
Courtesy Archivio Ugo Mulas, Milano – Galleria Lia Rumma, Milano / Napoli
Ugo Mulas Eugenio Montale 1970 © Eredi Ugo Mulas Tutti i diritti riservati
LE VERIFICHE.

Sono oltre 300 le immagini in mostra, di cui 30 mai esposte prima e tutte selezionate dall’archivio Mulas che ne conta circa diecimila. Scandito in 14 capitoli tematici che attraversano tutti i generi abbracciati dal fotografo italiano, il percorso inizia dalla sua ultima serie, quella più rivoluzionaria: Le verifiche. Si tratta di 13 opere, realizzate tra il 1968 e il 1972, nelle quali Mulas mette a tema la fotografia stessa, «quella scoperta meravigliosa», come scriveva già Nadar nel 1857, «alla quale hanno collaborato i cervelli più straordinari, che stimola gli spiriti più sagaci, e la cui applicazione è alla portata dell’ultimo degli imbecilli». E in un momento storico in cui l’informazione visiva stava diventando sempre più onnipresente e invasiva, fino a stordirci, Mulas sente il bisogno di tornare alle origini, di «capire che cos’è questo mestiere, analizzarne le singole operazioni, smontarlo come si fa con una macchina, per conoscerla», scrive nel suo libro più importante intitolato La fotografia. Ognuna delle verifiche è infatti dedicata a un autore imprescindibile e a un elemento chiave per il mestiere del fotografo: da Joseph Nicéphore Niépce e la pellicola a Lee Friedlander e la presenza-assenza dell’autore nello scatto; da Jannis Kounellis e la dimensione astratta e sospesa del tempo fotografico al chimico John Frederick William Herschel e i procedimenti di sviluppo e fissaggio in laboratorio. L’ultima verifica è dedicata a Duchamp, perché senza il suo atteggiamento mentale, «il suo non fare», la sua capacità di generare un nuovo pensiero sulle cose, semplicemente spostandole in un’altra dimensione, «questa parte del mio lavoro non sarebbe nata», spiega lui.

Ugo Mulas Alberto Giacometti, XXXI Biennale Internazionale d’Arte Venezia 1962 © Eredi Ugo Mulas. Tutti i diritti riservati.
Courtesy Archivio Ugo Mulas, Milano – Galleria Lia Rumma, Milano / Napoli
Ugo Mulas Alberto Giacometti, XXXI Biennale Internazionale d’Arte Venezia 1962 © Eredi Ugo Mulas. Tutti i diritti riservati.

Duchamp lo ritroviamo anche nella sezione dedicata ai ritratti. È infatti uno degli artisti maggiormente fotografati da Mulas, che lo riprende in una serie di scatti anticonvenzionali, fuori dal contesto abituale, e soprattutto mentre cammina: «Mi sembra che il camminare sia l’atteggiamento più evidente del vivere e basta, un fare sganciato dal produrre», spiegava. Altro artista determinante per lui è Lucio Fontana e in mostra possiamo vedere la serie L’Attesa dedicata ai suoi celebri tagli. Anche in questo caso Mulas va oltre la mera rappresentazione del gesto artistico per cogliere il momento «più importante, quello decisivo (...), il momento in cui il taglio non è ancora incominciato e l’elaborazione concettuale è invece già tutta chiarita». Sfilano poi tutti gli altri ritratti, tantissimi, dedicati non solo agli artisti ma anche a scrittori, poeti, politici, giornalisti, editori e industriali. E poi la serie sulle Biennali di Venezia, che Mulas documenta dal 1954 al 1964, e dove coglie «l’aspetto festoso dello stare insieme, del guardare, dell’esibire e dell’esibirsi». Un’esperienza stimolante e feconda questa delle Biennali, soprattutto quella importantissima del 1964 che consacra a livello internazionale la Pop art americana e lo porta a conoscere personaggi come Leo Castelli e Alan Solomon. È proprio grazie alla loro amicizia che Mulas decide, quello stesso anno, di recarsi a New York, «per capire e farsi testimone» di quel vivacissimo e irripetibile clima culturale che stava rivoluzionando il sistema dell’arte. Qui visita gli studi di Warhol, Lichtenstein, NewmanJohns, Segal, Stella, cercando di cogliere per ognuno di loro non solo l’attimo fuggitivo della creazione, ma quell’energia, quell’insieme complesso di gesti che si rivelano decisivi per il risultato finale. Perché, per Mulas, ciò che veramente importa non è tanto l’attimo eccezionale “alla Cartier-Bresson”, quanto «individuare una propria realtà; dopo di che, tutti gli attimi più o meno si equivalgono».

Questo approfondimento è tratto dal n. 597 di Arte. La rivista di arte, cultura e informazione è acquistabile in edicola o sul sito di Cairo Editore.

Cover Arte Maggio 2023
Cairo Editore
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